Morzeddu e coratella, diversamente simili. L’esaltazione del quinto quarto.

Il morzeddu, o morzeddhu, è un piatto tipico della cucina povera calabrese, in particolare del catanzarese.

Similmente alla più conosciuta corata laziale ed umbra, è realizzato con le interiora dei bovini.

Il termine “coratella” , di cui si parla oggi nel Calendario del Cibo Italiano, si riferisce all’utilizzo di frattaglie di animali di taglia più piccola, come agnello, coniglio, tacchino.

Il morzeddu è il tipico esempio di riutilizzo di avanzi ritenuti da scartare, come tutte le parti animali appartenenti al quinto quarto, tornato in auge perché, come spesso succede, la cucina ritenuta “povera” si rivela gustosa e saporita.

Immaginate di essere affamati, poveri e con scarse risorse. Non cerchereste di ottimizzare e renderle, magari, anche gradevoli al palato? Grazie alla fantasia e all’inventiva delle donne di altri tempi, sono nate ricette che vengono riscoperte, rielaborate e presentate come piatti da ristorante stellato.

Ecco com’è nato, secondo la leggenda, il morzeddu catanzarese.

“Faceva freddo, tanto freddo, in quell’ampio cortile cosparso di resti animali sanguinolenti. I Signori avevano chiamato Carmela per ripulire e raccogliere ossa, orecchie, code, cuori, polmoni e tutti gli altri resti che insozzavano il selciato dove erano stati macellati gli animali destinati all’alimentazione dei nobili del paese.

Carmela puliva e piangeva, piangeva e puliva, pensando che il Natale era vicino e lei, povera vedova, non sapeva cosa fare mangiare ai suoi bimbi che impallidivano e dimagrivano sempre di più.

La vita era davvero ingiusta: i ricchi gettavano via la carne e lei non ne aveva un pezzetto per nutrire i suoi piccini: forse non avevano anche loro diritto di vivere?

Carmela puliva e piangeva, piangeva e puliva. Scelse qualche osso con ancora un’ombra di carne attaccata per fare un brodo che avrebbe fornito un minimo di nutrimento ai suoi figli. Poi l’occhio le cadde sulle frattaglie: cuore, polmoni, milza. “In fondo, pensò, è pur sempre carne, no? Male non farà di certo”. Così le raccolse in un sacco insieme alle ossa e se le portò a casa.

Cercando nella cantinola interrata che fungeva da dispensa trovò una carota rinsecchita, un gambuccio di sedano, una treccia di cipolle. Staccò dalla piantina nel vaso qualche fogliolina di prezzemolo ingiallita dal freddo, prese l’immancabile “buccaccio” di salsa di pomodoro fatta in casa e, per coprire eventuali sapori sgradevoli, un bel peperoncino, che tanto i bimbi calabresi lo ciucciano col latte appena nati.

Ma quanto furono felici, i suoi figli, davanti a quella zuppiera così piena, fumante, invitante. E quanto gradirono il piatto della loro mamma! Per Carmela e i suoi figli fu il Natale più bello e anche a noi restò in regalo la ricetta del morzeddu, così chiamato perché la carne viene tagliata a piccoli pezzi (morza-morza in dialetto)”.

Morzeddu catanzarese 

Ingredienti:

  • frattaglie di bovino (cuore, polmone, milza, fegato, trippa)
  • un trito di carota, cipolla, sedano, prezzemolo
  • un peperoncino
  • salsa di pomodoro
  • olio extra vergine di oliva
  • sale
  • qualche foglia di alloro

Pulire accuratamente la carne e tagliarla a piccoli pezzi.

Lessare per 30 minuti in abbondante acqua salata milza, polmone, cuore e fegato, con le foglie di alloro, poi aggiungere la trippa e proseguire per altri dieci minuti.

Nel frattempo soffriggere nell’olio il trito aromatico.

Scolare, togliere l’alloro e mettere nel tegame con il soffritto.

Rosolare bene, poi unire la salsa di pomodoro e portare a cottura a fuoco lento per 2/3 ore, aggiungendo acqua di tanto in tanto, se necessario.

Tradizionalmente il morzeddu si serve caldo nella pitta, tipico pane calabrese di grano duro a forma di ruota.

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