Cheesecake tzatziki

Puntuale come le rate di Equitalia, ma non altrettanto oneroso, per fortuna, ritorna l’MTChallenge con la sfida sul cheesecake.

Siamo arrivati all’MTC57 e Annalù e Fabio del blog Assaggi di viaggio, vincitori della sfida precedente, hanno deciso che questo sarà il tema della nuova sfida. Applausi, ponti d’oro e pioggia di petali di rose.

Amo questo tipo di torta formaggiosa, ma, sia chiaro, in versione salata.

Il dolce, come si sa, non è nelle mie corde, tanto che in questo blog di cheesecake dolce non ce n’è nemmeno uno.

Ho idea che rimedieremo a questa mancanza entro il 25 di questo mese…

Intanto questa è la prima idea folle partorita dalla mia mente che, in queste occasioni, sembra un frullatore impazzito. Me ne sono venute in mente almeno dieci, e non è detto che non le realizzi tutte. Questa è solo la prima.

Cheesecake tzatziki

Cheesecake 2

Ingredienti per 6 minicheesecake monoporzione

Per la base

  • 140 g di farina 0
  • 75 ml di olio extra vergine di oliva
  • un tuorlo d’uovo medio
  • uno spicchio d’aglio
  • un pizzico di sale

Per il cheesecake

  • tre litri di latte di capra
  • un cucchiaio di succo di limone
  • 125 ml di yogurth greco
  • tre grossi cetrioli
  • finocchietto selvatico fresco
  • poco sale

Per la copertura

  • 300 ml di succo di cetriolo
  • 2 g di agar agar in polvere

 

Soffriggere l’aglio nell’olio, schiacciarlo bene con la forchetta, poi toglierlo.

Lasciare raffreddare bene l’olio, poi sbatterlo con il tuorlo d’uovo ed il sale.

Impastare con la farina, formare un panetto e lasciare riposare in frigo per un’ora.

Stendere la frolla salata molto sottilmente, mettendola tra due fogli di carta forno.

Ritagliare le sei basi con lo stampo che si utilizzerà per comporre il cheesecake.

Infornare a 180° per una ventina di minuti (non deve dorarsi troppo).

Con il latte e l’aceto bianco preparate il formaggio seguendo questo procedimento  (se non avete il tempo o la voglia di produrre il formaggio in casa, vi serviranno 300 g di formaggio spalmabile denso)

Sbucciate e grattugiate i cetrioli, raccogliendo il succo.

Sistemate un tovagliolo di lino o cotone su un colino e poneteli su un pentolino.

Aggiungete la polpa di cetriolo, lo yogurth, il finocchietto ed il sale al formaggio fresco e mettete il tutto nel tovagliolo, strizzando bene.

Sistemate le basi di frolla all’aglio negli stampi rivestiti da una striscia di carta forno e versatevi il composto al formaggio, pressando bene.

Decorate a piacere con fette di cetriolo, olive e finocchietto.

Lasciate raffreddare in frigo per 4/5 ore.

Portate ad ebollizione i 300 ml di succo di cetriolo e scioglietevi dentro l’agar agar mescolando per 3/4 minuti.

Lasciate intiepidire poi versate negli stampini.

Rimettete in frigo per un’ora almeno, poi sformate delicatamente.

Tagliate qualche buccia di cetriolo in fili sottili, saltateli un minuto in padella per renderli croccanti e usateli per guarnire.

Questo (si, al maschile, così mi dicono) cheesecake è stato ideato, realizzato e postato per l’MTC57

cheesecake

 

Il brodetto di pesce del M.ar T.irreno C.osentino

Il brodetto si chiama così, ma tanto brodoso non è, come spiega con dovizia di particolari Anna Maria Pellegrino, nel suo blog “La cucina di QB”.

Anna Maria, temporaneamente soprannominata per un mese “tepossino”, è la vincitrice dell’MTC n° 54 e questo le ha dato l’opportunità di scegliere il tema della sfida successiva. Il brodetto, per l’appunto, o meglio “il broeto dell’Adriatico” che io ho trasformato a mio specifico uso e consumo.

Da lei impariamo che il broeto di pesce è piuttosto asciutto, senza grandi pretese, senza un’identità, senza una ricetta precisa.

Una roba che si fa lì per lì, con quello che resta nelle reti dei pescatori.

Insomma, che piatto è il brodetto di pesce? E’ un piatto tendenzialmente povero, sempre diverso, certamente fresco di stagione. Cosa che lo rende particolarmente difficile.

Per realizzarlo a dovere sono andata a trascorrere il weekend al mare, in quel di Amantea, sulla costa tirrenica cosentina, per essere lì all’alba ad incontrare l’amico pescatore che si è dichiarato disponibile a farmi sgavazzare nelle sue reti.

Si, lo confesso, l’MTC è una malattia degenerativa, peggiora di mese in mese. Però ti carica con un bagaglio di conoscenza che non potresti ottenere così facilmente e per di più divertendoti.

Per fortuna in questo inverno mite fa abbastanza caldo da poter mettere i piedi in acqua (poi mi perdevo le scarpe perché erano rattrappiti, ma sai che vantaggi per la circolazione, zampettare nelle onde?).

Giovanni, il pescatore, t-shirt umidiccia e pettorali da outsider, mi spiega che in questo periodo si trovano i pesci da fondale, che se ne stanno al calduccio nella fanghiglia, perché in superficie fa ancora freddino.

Mentre gli aiutanti scaricano le cassette coperte di ghiaccio tritate, lui tira su dal fondo della barca una gallinella, e quella la riconosco, un polpetto, una triglia.

Poi seppioline, calamaretti, cicale di mare (“robetta che si trova sempre” dice lui).

Brodetto

Un paio di scampi, un merluzzetto minuscolo.

Un robo brutto che mi guarda male “è uno scorfano”, ride Giovanni.

Due pescetti che non riconosco: sono la mormora e la tracina, conosciuta e temuta per la sua dolorosissima puntura e chiamata anche pesce ragno.

Poi chiama un amico di una barca vicina e si fa dare una manciata di cozze e vongole (“le alleva lui, vai tranquilla”).

Ci sarebbero, in circolazione, anche orate, sogliole e rana pescatrice, ma lui non le ha trovate ed è dispiaciutissimo.

Mi offre sei sarde, ma mi raccomanda di non metterle nella zuppa, ma di farci uno spaghetto ammuddicato.

L’idea mi piace, magari lo invito pure a pranzo.

il brodetto (2)

Ingredienti per il brodetto:

  • Pescato misto, “quello che resta nella rete”. Nel mio caso: gallinella, polpo, triglia, seppioline, calamari, cicale di mare, scampi, merluzzetto, mormora, tracina, cozze, vongole.
  • Due spicchi di aglio
  • Olio extra vergine di oliva
  • Un bicchierino di vino (“Greco” di Lamezia)
  • Un kg di pomodorini ciliegini
  • Prezzemolo fresco
  • Un peperoncino piccante
  • Sale
  • Null’altro. Il pesce è così fresco e profumato di mare che non ho voluto aggiungere sapori e aromi ulteriori.

Ingredienti per il pane alle olive:

  • 150 g di lievito madre rinfrescato da ¾ ore (idratazione 50%)
  • 200 g di semola rimacinata di grano duro
  • 200 g di farina 0 bio
  • 280 ml di acqua a temperatura ambiente
  • 10 g di sale
  • 20 g di sciroppo di malto d’orzo
  • 30 g di olio di semi di girasole
  • 100 g di olive verdi

Preparazione del pane:

Sciogliere il lievito madre in 200 ml di acqua con il malto d’orzo.

Impastare con le farine ben setacciate, poi unire il resto dell’acqua, poco alla volta.

Aggiungere il sale ed infine l’olio.

Quando l’impasto sarà ben amalgamato, formare un panetto e lasciare lievitare, coperto da un telo.

Quando sarà raddoppiato, stenderlo a rettangolo con le mani (non usate il mattarello) e cospargerlo con le olive tagliuzzate.

Arrotolarlo e metterlo sulla placca ricoperta di carta forno, lasciandolo lievitare nuovamente fino al raddoppio. Il tempo dipenderà dalla forza del lievito e dalla temperatura, in genere 2/3 ore.

Per accelerare i tempi si può mettere in forno con la lucina accesa.

Cuocere a 200° per dieci minuti, poi abbassare a 180° per un’ora.

Preparazione del brodetto:

Pulire accuratamente sotto acqua corrente le cozze e le vongole con una spazzola (io ne ho una di ferro che uso solo per questo).

Metterle a bagno in acqua e sale.

Pulire polpo, seppioline e calamari asportando gli organi interni: è sufficiente tirare il ciuffo di tentacoli, ruotando con delicatezza e verrà via tutto.

Togliete gli occhi, il dente e la cartilagine che troverete tastando l’interno della tasca.

Attenzione a non rompere il sacchetto con l’inchiostro.

Sciacquate abbondantemente e tagliate a pezzetti.

Riprendete cozze e vongole, scaldate l’olio in una padella con aglio scamiciato e peperoncino, e chiudete con un coperchio. Quando saranno tutte aperte (se ne rimane qualcuna chiusa, gettatela via) toglietele dalle conchiglie, tranne qualcuna per guarnire il piatto.

Filtrate il liquido rimasto nella padella e tenetelo da parte.

Sgusciate cicale e scampi, asportando l’intestino, che è un “filo” nero facilmente riconoscibile.

Lasciatene qualcuno intero per guarnizione: per asportare l’intestino praticate un taglio longitudinale sul ventre.

Sfilettate i pesci rimasti. Non è un procedimento semplicissimo, se non si è pratici, ma con un po’ di buona volontà si può fare. Il sistema più semplice è: togliete la testa, incidete il pesce sulla coda e risalite con il coltello, tenendo la lama a contatto con la lisca.

Togliete la pelle. Se vi riesce difficile, potete anche tagliarlo direttamente in pezzetti.

Prendete le teste, le lische, i carapaci dei crostacei e soffriggeteli brevemente in olio con aglio e peperoncino.

Sfumate con il vino.

Aggiungete il liquido ottenuto dalla cottura di cozze e vongole e portate a bollore.

Filtratelo con un telo sottile o con gli appositi filtri per alimenti.

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Fino a questo punto il brodetto del M.ar T.irreno C.osentino, ha seguito, più o meno, la preparazione canonica..

Qui si dovrebbe proseguire con la cottura, diversificando i tempi in base all’elemento, aggiungendo condimenti e spezie, erbe aromatiche e sorvegliando fino alla fine.

Io ho optato per la cottura sottovuoto.

In genere si realizza con appositi sacchetti in vasche termostatate, oppure con i roner, che mantengono costante la temperatura dell’acqua.

Purtroppo, però, non tutti gli alimenti possono essere “strizzati” nei sacchetti che hanno, oltretutto, una capienza limitata e non permettono di effettuare il sottovuoto in presenza di liquidi.

Io ho una teglia di discreta capienza nella quale si può ottenere il sottovuoto anche in presenza di liquidi, con la quale si effettua poi la cottura in forno.

Ho messo, quindi, tutti i miei ingredienti nella teglia; ho aggiunto pomodorini tagliuzzati, e il brodo di pesce; ho aspirato l’aria con l’apposito collettore ed ho infornato a 160° per 30 minuti.

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Con questo sistema tutti gli ingredienti sono cotti al punto giusto e il brodetto conserva intatto il sapore di M.ar T.irreno C.osentino.

Una spolverata di prezzemolo ed una fetta di pane alle olive hanno completato l’opera.

 

il brodetto

E ora vado a preparare la pasta ammuddicata per Giovanni…

 

Con il brodetto del M.ar T.irreno C.osentino partecipo all’MTC n. 55

mtc 55

Tasca di vitello ripiena di spinaci e ricotta #sottovuoto

 Per la tasca ripiena utilizzo lo spinacino.

E’ un taglio di seconda scelta, nel quarto posteriore. Di vitello, più tenero, o di manzo, più saporito, è comunque un ottimo piatto, adatto a cottura lenta a bassa temperatura.

Io ho utilizzato, ancora una volta, il sistema di cottura sottovuoto Alladin, che ha reso tutto molto più semplice, ma una teglia ed un forno sono più che sufficienti, basta un po’ di attenzione.

Ingredienti:

  • un kg. di spinacino di vitello
  • 500 gr. di spinaci
  • un pizzico di bicarbonato
  • 200 gr. di ricotta salata
  • una noce di burro
  • sale, pepe
  • 100 gr. di prosciutto cotto (o mortadella, se piace) in un solo pezzo
  • due bicchieri di vino bianco secco

Con un coltello affilato, ricavare una tasca dallo spinacino di vitello,

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facendo attenzione a non tagliare i bordi.

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Pulire gli spinaci, scottarli in acqua salata con un pizzico di bicarbonato, poi tuffarli in acqua fredda.

Scolarli, strizzarli e saltarli per una decina di minuti in poco burro.

Tritarli aggiungendo la ricotta salata, il pepe ed il prosciutto cotto.IMG_6299

Con il composto, farcire la tasca e cucirla.

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Ungere con il restante burro il fondo della teglia, sistemarvi la tasca farcita e spruzzare con il vino.

Fate il sottovuoto ed infornate a 160° (ventilato) inserendo la sonda nell’apposito foro del coperchio, facendo in modo che la punta sia nella carne e non nel ripieno.

Quando il termometro segna 64° (dopo 50 minuti circa), la tasca è pronta.

Servitela a fette, cospargendola con il sugo di cottura.

Se lo preferite più denso, portatelo a bollore ed aggiungete un pizzico di maizena, o di fecola di patate.

Mescolate bene con la frusta per evitare grumi.

Si può anche insaporire con peperoncino, o con altre spezie a piacere.

Altre ricette con la tecnica del sottovuoto le trovate QUI

 

La fragola del partigiano e una sorella in bicicletta

Leo, classe 1922; “fragola” era il suo soprannome (oggi diremmo il suo nickname) da partigiano, nelle montagne del biellese.

Era chiamato così per via della voglia rossa che aveva al centro della fronte e che, pallida e scolorita durante l’inverno, splendeva scarlatta da maggio a settembre. La madre se ne attribuiva la colpa per via di quella volta che, durante un attacco di insana voglia di fragole in pieno inverno, si toccò la fronte, senza pensare al bimbo che attendeva e che avrebbe così marchiato, inesorabilmente, a vita. Vero o falso, lui la fragola ce l’aveva sempre in fronte, e proprio per questo, le odiava.

A Silvana, la sorellina, classe 1931, le fragole invece piacevano proprio tanto, anche perché nel loro paese non si vedevano spesso. Ogni tanto si trovava, in giro nei prati, qualche fragolina selvatica. Silvana le raccoglieva, insieme a more, lamponi e ribes, le metteva nel cestello della bicicletta e pedalava via come un fulmine. Anche perché, di solito, sotto le provviste nel cestello nascondeva messaggi, viveri, a volta anche armi, per il fratello e gli altri partigiani nascosti. E chi avrebbe mai sospettato di quella minuta adolescente dall’aria timida e spaurita?

In realtà, spaurita non lo era affatto, la mia mamma, anzi, era bella tosta. Con il padre che lavorava in Germania e la madre tutto il giorno in fabbrica, era lei a prendersi cura dei fratelli, della casa, dell’orto, delle galline, dei conigli, del maialino nascosto in cantina. E tutte le mattine si alzava alle cinque per andare a scuola in città, perché nel suo paese la scuola non c’era e per fare lezione online avrebbe dovuto inviare i temi svolti con il piccione viaggiatore. Ma all’epoca, con la fame che c’era, i piccioni li mangiavano.

Insomma, gente d’altri tempi. E allora, pensando a loro, una ricetta d’altri tempi.

Frittura dolce di semolino alle fragoline di bosco

(N.B. Questa foto è stata scelta da Jamie Oliver come vincitrice del contest “ComfortFoodITA” in occasione della presentazione del suo nuovo libro)

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Qualcuno potrebbe obiettare che non è tempo di fragole. Ma per questi dolcetti, che mia zia preparava con le fragoline appena raccolte, quando si trovavano (in Piemonte non erano all’ordine del giorno), io utilizzo le fragoline che ho usato per fare il liquore, senza scolarle troppo, in modo che un po’ di liquore rimanga nel liquido di cottura.

Ingredienti per 12 dolcetti:

  • 100 g di semolino
  • 400 ml di latte
  • 50 g di zucchero
  • 1 uovo
  • 100 g di fragoline di bosco
  • due cucchiai di farina
  • pangrattato
  • olio per friggere

Portate a bollore il latte con lo zucchero (io uso QUESTO, della serie: non si butta via niente)

Versate il semolino a pioggia e mescolate con la frusta per evitare i grumi.

Appena inizia a rapprendersi, unite il tuorlo d’uovo leggermente sbattuto.

Amalgamate al composto le fragoline (se utilizzate quelle del liquore, non asciugatele troppo).

Versate il tutto su un piano di marmo o su un foglio di carta forno e compattate l’impasto, formando un quadrato spesso 2 cm

Lasciate raffreddare, poi ritagliate in 12 quadretti (dipende dalle dimensioni che vorrete dare ai dolcetti).

Passateli nella farina, poi nell’albume sbattuto ed infine nel pangrattato.

Friggete in abbondante olio bollente per un paio di minuti e servite spolverandoli con zucchero a velo, o ricoperti con una salsa al cioccolato.

Croissant alla cannabis – troppo giovane per il ’68

Il croissant alla cannabis nasce, come molte delle mie ricette, da un insieme di fattori che si accavallano, si inseguono, si sovrappongono e scompongono, fino a concretizzarsi in un’idea. Il più delle volte, da scartare.

Stavolta, partendo da un’estate trascorsa tra coltivazioni LEGALI (!) di canapa, passando attraverso l’elaborazione di articoli e ricette a base della stessa, arrivando al 50mo appuntamento mensile ed immancabile con l’MTChallenge, che coincide con il giubileo e quindi non si può perdere, cosa poteva uscirne?

La vincitrice della scorsa edizione, Luisa Jane Rusconi (che gli Dei proteggano sempre i suoi cervellotici neuroni, e #lapossino con veemenza), è arrivata al croissant partendo dal pudding, grazie anche anche all’adorabile ed adorata (si percepisce l’ironia?) Alessandra Van Pelt Gennaro, che gli Asi la riparino dalle intemperie (v. Haze).

Ma torniamo all’inizio. Canapa=’68. Troppo vecchia per non esserci, ma troppo giovane per viverlo in prima persona, ne ho subito da adolescente gli strascichi ed i racconti di chi ha partecipato, sentendomi emarginata e con il desiderio di essere nata una decina d’anni prima (poi mi è passato).

Per anni è stato tutto un: eravamo ribelli (con la canapa) – abbiamo lottato (per la canapa) – abbiamo condiviso (la canapa) – abbiamo ottenuto (il divieto di coltivare canapa).

Si, certo, sto semplificando per amor di cronaca. Il ’68 è stato altro e di più, ma confesso che “quella” era una cosa che colpiva molto la mia immaginazione da bambina. Per cui, quando questa estate mi è stato proposto di visitare delle coltivazioni di canapa per ricavarne ricette ed articoli, mi sono messa i pantaloni a zampa di elefante e mi sono portata l’autista perché-non-si-sa-mai.

Quindici ettari di canapa. Solo che era “sativa”, non “indica”, con un contenuto di alcaloide inferiore allo 0,2% e solo nelle foglie. Nessuna traccia nei semi e di conseguenza nella farina, nell’olio, nel latte. Un buon profumo, ma niente effetti collaterali ed al ritorno ho guidato io. In compenso, è gluten free, il che ne fa una “roba” buona.

Il passato non torna e ciò che è perso non si può rivivere. Però restano l’aroma, il sapore di fieno, ed i croissant.

La ricetta ed il procedimento sono copincollati pari pari dal blog Riseofthesourdoughpreacher  . Ho modificato solo la farina sostituendo 40 gr. di Garofalo 350 W con altrettanta farina di canapa. Sativa, ahimè.

croissantcanapa

x circa 12 croissants

400 g farina 00, W300-330 meglio, se non possibile W350 (io 360 g di farina Garofalo W350 e 40 g di farina di cannabis sativa)
220 ml latte
40 g burro ammorbidito a temperatura ambiente 
30 g zucchero
4 g lievito di birra istantaneo
9 g sale
4 g aceto di vino bianco

200 g burro per sfogliatura

In una ciotola sciogliete lo zucchero ed il sale con il latte e l’aceto.
A parte setacciate la farina con il lievito di birra istantaneo.
Unite il burro, gli ingredienti liquidi a quelli secchi fino ad ottenere un impasto grezzo.
È importante che l’impasto non venga lavorato eccessivamente, in modo da evitare di sviluppare la maglia glutinica. Se ciò dovesse accadere vi ritrovereste con un impasto troppo forte che si strappa durante la fase della sfogliatura.
Formate un quadrato e avvolgetelo in pellicola alimentare. Fate riposare il panetto in frigo per 6 ore e se notate che l’impasto lievita dopo un paio d’ore sgonfiate l’impasto.
Poco prima di tirare fuori l’impasto preparate il panetto di burro schiacciandolo tra due fogli di carta da forno come mostrato nei video. Rimettete il panetto di burro nel frigo mentre stendete l’impasto.
Stendete l’impasto a circa 6 mm di spessore facendo in modo che sia largo poco più del panetto di butto e alto due volte l’altezza dello stesso.
Mettete il burro su una metà e richiudetevi l’altro lembo sopra come nel video di Envie de Bien Manger e procedete con la piega a tre (a differenza di quanto mostrato nel video, dove viene fatta una piega a quattro).
Mi raccomando, siate pazienti e per la stesura dell’impasto fate esattamente come lui, soprattutto la cosa di schiacciare con il mattarello, perché così non rischierete di strapparlo.
Avvolgete l’impasto in pellicola alimentare e fate riposare in frigorifero circa mezz’ora.
Stendete il rettangolo, avendo cura che la piega sia alla vostra destra, tirandolo ad una lunghezza corrispondente a tre volte il lato corto e fate una piega a tre come mostrato nel video.
Avvolgete in pellicola alimentare e fate riposare in frigorifero circa mezz’ora. Ripetete la piega a tre e il riposo in frigo. Se fa eccessivamente caldo fate riposare 15′ in frigo e 15′ in freezer.
Fuori dal frigo dividete l’impasto in due e stendete le due porzioni ad una dimensione di 26 x 34 cm e uno spessore di circa 3-4 mm ciascuna. Il piano di lavoro deve essere infarinato a sufficienza, ma non esagerate!
Sbattete l’impasto sul piano di lavoro due volte, per favorire sfogliatura, dopodiché tagliate dei triangoli dalla base di 11 cm circa (io uso un coltello molto grande e affilato tipo da macellaio).
Fate riposare i triangoli per 20′ in frigo prima della formatura.
Fuori dal frigo stirate leggermente la punta dei triangoli, praticate una piccola incisione in mezzo alla loro base e arrotolate con delicatezza i lembi senza premere né stringere troppo l’impasto.
Se fate i croissant la sera per il mattino lasciateli lievitare sulla teglia per un’ora, coperti con pellicola alimentare, dopodiché metteteli in frigo per tutta la notte.
La mattina tirate i croissants fuori dal frigorifero almeno due ore prima della cottura, spennellateli con dell’uovo sbattuto e passato attraverso un colino a maglia fitta muovendo il pennello dal centro del croissant verso l’esterno per evitare che l’uovo faccia attaccare gli strati della sfoglia e copriteli con pellicola alimentare.
I croissant vanno lasciati lievitare a temperatura ambiente almeno due ore (con il caldo agostano, probabilmente in settembre saranno necessaire tre ore) e sono pronti quando tremano un po’ come un budino quando la teglia viene leggermente scossa (non esagerate, dopotutto non vorrete mica compromettere la lievitazione!).
Se volete cuocerli il giorno stesso disponete i croissant su una teglia da forno coperta con carta oleata, spennellateli l’uovo sbattuto, coprite con pellicola alimentare e lasciate lievitare a temperatura ambiente per circa 2-3 ore.
Prima di cuocere i croissant spennellateli nuovamente con l’uovo sbattuto.
Preriscaldate il forno a 220° C per 5′, cuocete per circa 10′ dopodiché abbassate la temperatura a 200°C e cuocete ulteriori 10′ o finché ben dorati.
Fuori dal forno fate raffreddare su una gratella.”

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Ringalluzzita dalla splendida riuscita, li ho farciti con una crema di peperoni gialli frullati con qualche goccia di olio di peperoncino piccante e formaggio fresco spalmabile, e due fette di prosciutto di suino nero calabrese, perché mi piaceva l’idea del rustico. E, dopo tanto scrivere, è giunta l’ora di fare merenda.

Buon MTChallenge a tutti! bannersept

 

Riso Venere con cannolicchi in crema di Parmigiano Reggiano

Se chiedi a qualcuno: “conosci il parmigiano reggiano?” di certo risponde: “si, come no!”.

“E come lo usi?” “Béh, lo grattugio sulla pasta” “E poi?” “mmmmhh…. lo metto nel ripieno delle polpette” “ok. Altro?” “Ehm… no”.

Confesso subito che io avrei dato le stesse risposte, fino a poco tempo fa. Poi mi è arrivato l’Excellent Kit, composto da tre stagionature diverse di parmigiano reggiano, tovagliette, coltello a mandorla e l’invito a frequentare il corso online per assaggiatore di parmigiano. Ecco, mi si è aperto un mondo nuovo.

Intanto, la soddisfazione di avere conquistato la coccarda a tre stelle, e scusate se è poco. Assaggiatrice provetta, non si scherza.

coccarda_3_chiaro

Poi, ho scoperto i molteplici usi di questa delizia, che è riduttivo chiamare “formaggio”.

Così ho voluto utilizzare il parmigiano reggiano stagionato 24 mesi, che esalta il sapore dei frutti di mare senza coprirne il gusto, seguendo le istruzioni per preparare una crema da leccarsi i baffi. E con soli 4 ingredienti!

Ecco la mia ricetta:

Riso Venere con cannolicchi dello Jonio di e pomodorini confit in crema di Parmigiano Reggiano 24 mesi.

Parmigiano reggiano 2 (1)

Ingredienti per 4 persone:

  • 250 gr. di riso Venere
  • 500 gr. di cannolicchi
  • 300 gr. di pomodorini tipo “ciliegino”
  • 200 gr. di Parmigiano Reggiano 24 mesi
  • acqua, olio extra vergine d’oliva, erba cipollina, prezzemolo, peperoncino piccante macinato q.b.

Sciacquare abbondantemente i cannolicchi sotto acqua corrente.

Scaldare 3/4 cucchiai di olio in un tegame con l’erba cipollina tritata ed abbondante peperoncino.

Aggiungere i cannolicchi e coprire con un coperchio.

Tenerli a fiamma alta fino a quando si saranno aperti (se dopo 5 minuti ne rimane qualcuno chiuso, eliminatelo), e teneteli in caldo.

Tagliare a metà i pomodorini e disporli sulla teglia del forno, con la parte tagliata verso l’alto.

Cospargerli di sale, prezzemolo, origano, erba cipollina e sale e lasciare asciugare a 200° per circa 15 minuti.

Scolare i cannolicchi e tenerli da parte. Filtrare accuratamente il liquido rimasto, aggiungere un litro circa di acqua e portare a bollore.

Tagliare a metà i pomodorini e disporli sulla teglia del forno, con la parte tagliata verso l’alto.

Cospargerli di sale, prezzemolo, origano, erba cipollina e sale e lasciare asciugare a 200° per circa 15 minuti.

Nel frattempo, tostare il riso nel tegame, poi aggiungere due bicchieri del liquido bollente, dare una veloce rimescolata e lasciare asciugare a fuoco lento fino a cottura (se necessario, aggiungere altro liquido).

Poco prima di spegnere il fuoco, tagliuzzare qualche cannolicchio, unendolo al riso.

Grattugiare il parmigiano reggiano ed amalgamarlo, fuori dal fuoco, a 3/4 cucchiai del liquido usato per la cottura del riso, rimescolando con una frusta fino ad ottenere una crema.

Miscelare metà della crema al riso e disporre l’altra metà sul fondo del piatto.

Versate il riso nei gusci dei cannolicchi, o dategli forma con un coppapasta.

Guarnite con i pomodorini confit e con l’erba cipollina, o una spolverata di prezzemolo fresco.

Ecco come, con soli quattro ingredienti, si può ottenere una ricetta da gran gourmet. Perché il vero gusto sta nella semplicità. Less is more!

Con questa ricetta ho partecipato al contest #PRChef 2015 di Parmigiano Reggiano

Parmigiano Reggiano Chef

 

 

 

 

AmeriCalabrian burger – tra Scilla e Cariddi

Non credo che Scilla e Cariddi conoscessero il burger, “ham”, “fish”, o “cheese” che fosse.

Però, conoscevano bene lu piscispada.

…”e il pescespada, sfuggito al vorace Cariddi, stava per essere divorato dalle molteplici bocche di Scilla, ma io gliel’ho portato via”.
“E Scilla non si è arrabbiata?” “Certamente, ma io ho remato con tutte le mie forze e sono arrivato a terra prima che potesse prendermi.”
Avrò avuto 5 o 6 anni, quando Ermanno, il pescatore che vendeva vicino casa mia i prodotti freschi della sua fatica notturna, mi raccontava le leggende del mare ed io, a metà tra l’incanto e la paura, stringevo forte la mano di mia madre che, paziente, attendeva la fine del racconto per acquistare le provviste per il pranzo.

Sui lati dello stretto che separa la penisola dalla Sicilia, si formano, in corrispondenza di due promontori, grossi gorghi dovuti alla forza d’urto del mare. Questi vortici erano pericolosissimi per i naviganti che immaginavano due mostri voraci e famelici celati tra i flutti.

Di Scilla, “colei che dilania” sul lato calabrese e Cariddi, “colei che risucchia”, sul lato siciliano, le due ninfe trasformate in mostri per gelosia l’una e per punizione l’altra, parlarono anche Omero e Virgilio.

E non dubito che anche loro abbiano ceduto a quella “purpetta di piscispata cu’ mulinciani” che fu, forse, l’antesignana dell’odierno fishburger.

Sta si fatto che il tutto mi è tornato in mente in occasione dell’ MTC n°49, dove si richiede, grazie (!) al sadismo della vincitrice del n° 48, Arianna Mazzetta del blog “Saparunda’s kitchen ” un american burger, fatto e finito, dall’inizio alla fine. Sapete cosa significa? “Prendi un panino, mettici dentro roba e mangia?” Seeeeeeeeee……… magari.

Ora, mi astengo dai commenti. Testa bassa, e pedalare. Ed eccomi al traguardo:

Ingredienti per i buns (copio spudoratamente ricetta e procedimento di Arianna, perché è tutto molto ben spiegato. A lato, in corsivo, le mie piccole modifiche):

Ingredienti per 4 buns con lievito madre:

Sciogliere il lievito madre nel latte a temperatura ambiente e impastare con le farine ben setacciate, aggiungendo mano a mano il resto degli ingredienti. L’impasto deve essere morbido ed omogeneo – programma “impasto” con la MdP.

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Lasciarlo riposare in una boule infarinata e coperta da pellicola alimentare e un panno.
Quando è raddoppiato di volume (2 ore circa) procedere come ho spiegato prima per le pieghe – io due giri di pieghe del primo tipo.
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Quindi lasciar riposare per un’oretta, poi formare i buns, schiacciandoli 
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e portando i bordi verso il centro, sovrapponendoli;
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poi girarli, arrotondarli e sistemarli sulla teglia coperta da carta forno,
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schiacciarli delicatamente con il palmo della mano, coprire con pellicola e lasciar nuovamente riposare per un’oretta circa.
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Per la cottura dei buns:

  • 1 uovo
  • un goccio di latte
  • Semi di sesamo – di finocchietto selvatico
Accendere il forno a 180°C.
Sbattere in un ciotolino l’uovo con il latte.
Togliere la pellicola e spennellare la superficie dei buns con il composto di uova e latte.
Spolverizzare con i semi e quando il forno raggiunge temperatura infornare e cuocere fino a doratura (circa 20 minuti).
Sfornare e lasciar asciugare su una gratella.
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 Per la farcitura:
  • 300 gr. di pescespada
  • un albume
  • erba cipollina, prezzemolo, sale, pepe
  • due cucchiai di semola rimacinata
  • un cucchiaio di granella di nocciole
  • una melanzana
  • olio extra vergine di oliva
  • qualche foglia di cavolo viola

Pulite il pescespada e tagliuzzatelo al coltello.

Unite erbe aromatiche, sale, pepe ed amalgamate con l’albume leggermente sbattuto.

Pressatelo nell’apposito attrezzo per hamburger, poi passatelo nella semola rimacinata miscelata alla granella di nocciole.

Friggetelo rapidamente in abbondante olio caldo (non più di 3/4 minuti).

Se volete evitare la frittura, passate il burger, senza panatura, direttamente su una piastra rovente, rispettando i tempi di cottura.

Tagliate la melanzana a fette alte 3/4 millimetri, salatele e lasciatele asciugare su uno strofinaccio.

Spennellatele di olio e cuocetele sulla griglia, o in forno.

Lessate le foglie di cavolo viola in acqua salata, poi passatele brevemente in poco olio di cottura del burger: oltre ad insaporirle, le renderà leggermente croccanti.

Per la salsa:

  • 250 ml. di panna acida
  • una cipolla di Tropea (150 gr. circa)
  • 125 ml. di latte
  • 80 gr. di farina
  • un peperoncino piccante
  • una noce di burro
  • un cucchiaino di concentrato di pomodoro

Soffriggete il peperoncino e l’aglio, tagliato a metà e privato del germoglio centrale, nel burro, poi schiacciate entrambi e toglieteli.

Aggiungete la cipolla affettata e fatela appena imbiondire.

Unite la farina setacciata e mescolate: non importa se si formeranno dei grumi.

Riscaldate il latte, senza farlo bollire, ed aggiungetelo alla cipolla fuori dal fuoco.

Rimettete sul fuoco, fate prendere il bollore e continuate a rimescolare fino alla consistenza voluta.

Aggiungete il concentrato di pomodoro, passate tutto al setaccio, lasciate raffreddare, poi unite la panna acida (sostituibile con yogurt bianco).

Per il contorno:

  • pomodorini ciliegini
  • olio extra vergine di oliva
  • prezzemolo, rosmarino, sale, erba cipollina

Emulsionate l’olio con le erbe tritate a mortaio ed il sale.

Tagliate i pomodorini a metà, disponeteli sulla teglia ricoperta di carta forno, con la parte tagliata in alto.

Cospargeteli con il condimento e lasciateli appassire in forno, a 100°, per circa un’ora.

Assemblaggio dell’AmeriCalabrian Burger:

Tagliate il panino a metà, spalmate la parte inferiore con poca salsa e poggiate la melanzana grigliata.

Sulla melanzana ponete il burger di pescespada, poi altra salsa e, per finire, il cavolo viola.

Servitelo con il contorno di pomodorini confit, una bella birretta e un bavaglino anti-schizzi.

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Ricetta per l’ MTC n° 49

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Caffè alle nocciole – indietro nel tempo

Il caffè alle nocciole mi riporta agli inizi degli anni novanta.

Avevo il pargolo piccino, ed era la scusa ideale per una gita ad Edenlandia, il parco giochi di Napoli, che mi tentava da tempo.

Mentre i genitori sconsiderati cercavano di trascinare il malcapitato infante tra vascelli del terrore, ruote vorticose e navicelle a testa in giù, l’ingrato fanciullo insisteva per restare sull’insulso funghetto della giostra per bimbi. Strani gusti.

Così, i due corresponsabili di tale recalcitrante essere si alternavano tra esperienze da brivido e sorveglianza del funghetto.

Tra un vortice e l’altro, incontrai, per la prima volta, il caffè alla nocciola. Non so dire se mi piacque. Da allora non l’ho più assaggiato e ne ho un ricordo vago. Mi è tornato in mente cercando una farcitura per il pan di Spagna alle nocciole di Leonardo di Carlo, per l’MTChallenge n° 47.

La ricetta del pds è sul blog di Caris, alias Maria Grazia: Cooking Planner e vi consiglio caldamente di leggere tutto l’articolo, perché è più esaustivo di una lezione con lo chef. Non c’è solo questa ricetta, ma anche il pds di Massari e tantissime dritte per una perfetta riuscita.

Io vi riporto qui la parte che riguarda il mio dolce.

Pan di Spagna alle nocciole di Leonardo di Carlo (io ho realizzato due dolcetti monoporzione ed ho utilizzato 1/5 delle dosi indicate)

Uova intere 500 g (io 100 gr.)

Zucchero semolato 235 g (47 gr.)

Zucchero invertito (anche miele delicato) 25 g (5 gr.) lo zucchero invertito l’ho trovato da un fornitore per pasticcerie

Buccia di limone grattugiato fine 2 g (non l’ho messa)

Sale fino 1,5 gr. (un pizzichino)

Farina debole W 170 (ho usato quella di Garofalo) 235 g (50 gr.)

Polvere di nocciole 150 g (difficilissimo trovarla molto fine: anche questa da un fornitore per pasticcerie, setacciata più volte. Per averne 25 gr. accettabili ne ho setacciati 200 gr.)

Burro fuso a 45°C 60 g (12 gr.)

Unire i primi cinque ingredienti, mescolare e scaldare tutto a 45°-50° C, mettere in planetaria e montare con la frusta fino a una massa voluminosa e stabile.

Incorporare delicatamente la farina setacciata (due volte) unita alla farina di nocciole, prelevare 1/10 della massa e unire a questa il burro fuso, quindi aggiungere delicatamente al resto della massa, mettere in stampi e cuocere subito a 180-170° per 20-25 minuti (per tortiere alte 4-4,5 cm), tenendo un cucchiaio di legno fra lo sportello del forno.

Devo dire che con l’aggiunta del burro, questo pds somiglia al classico dolce della nonna, quello che si mangia a merenda senza alcuna aggiunta.

Denso e compatto, si scioglie gradevolmente in bocca, ma è meno spugnoso di quello senza burro.

Consigliabile la bagna, non troppo dolce, se si utilizza farcito.

Io l’ho bagnato con poco caffè amaro, poi l’ho farcito con una crema alla nocciola.

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Crema alla nocciola 

  • 100 gr. di nocciole tostate
  • 100 gr. di panna fresca
  • 50 gr. di zucchero

Tritare nel mixer le nocciole, fino a quando inizieranno a rilasciare l’olio.

Continuare ad intervalli, per non surriscaldare l’apparecchio, raccogliendo con una spatola le nocciole che si attaccheranno alle pareti del contenitore e riportandole al centro.

Quando si sarà formata un pasta densa, passarla al setaccio (in alternativa, si può utilizzare la pasta di nocciole che si trova in commercio. In genere è già zuccherata, per cui eliminate lo zucchero dagli ingredienti).

Montate la panna con lo zucchero ed amalgamatela delicatamente alla pasta di nocciole.

Tagliate il pan di Spagna in due strati all’altezza di 2 centimetri circa, bagnateli con caffè amaro, farciteli con la crema preparata, poi spalmate con una spatola altra crema sui lati e sulla superficie del dolce.

Tritate grossolanamente una decina di nocciole e rivestite il bordo del dolce.

Mettete in frigo.

Ritagliate da un foglio di acetato un cerchio delle dimensioni del dolce e poggiatelo su carta forno.

Sciogliete a bagnomaria 30 gr. di cioccolato al gianduia con pochissimo burro e versatelo sul disco di acetato, livellandolo bene con una spatola.

Quando sarà raffreddato, staccatelo delicatamente e poggiatelo sul dolce.

Per tagliare il dolce senza rompere il disco di cioccolato, riscaldate leggermente la lama del coltello.

 

Caffè alle nocciole

Attendete il termine della digestione prima di andare sulle montagne russe.

Per l’MTC n° 47 banner1