Tartufini di cioccolato con marron glacé e farina di castagne

I tartufini sono quelle goduriosissime palline composte essenzialmente di cioccolato.

E già questo potrebbe bastare a giustificarne l’altissimo gradimento.

Se poi si aggiunge che sono semplicissimi da realizzare, si possono arricchire in tantissimi modi e vanno a ruba in ogni occasione… che dire, non ci resta che prepararli a quintalate.

In occasione della “settimana nazionale della castagna” sul Calendario del cibo italiano di AIFB, di cui è preparatissima ambasciatrice la mia amica, collega, sister-in-web e socia-in-disastri Silvia Leoncini, nota come “La Masca in cucina“, ho prodotto una versione di tartufini con l’aggiunta di marron glacé e farina di castagne.

Il mio amatissimo altopiano della Sila, oltretutto, è ricco di castagneti.

Le castagne silane hanno una forma arrotondata da un lato e piatta dall’altro. La loro polpa è piuttosto asciutta e a un sapore dolce molto intenso.

Tre sono le qualità più comuni: Castagna reggiola, Castagna ‘nzerta e Castagna curcia.
La castagna reggiola è un po’ più grande delle altre e si sbuccia con molta facilità. Le castagne ‘nzerte sono più difficili da sbucciare e nelle curcie la buccia interna si toglie solo se bollite.

Vengono utilizzate in innumerevoli ricette, sia dolci che salate, e conservate in barattolo sotto forma di confettura, nel rum, con l’aggiunta di cioccolato, o semplicemente essiccate ed infilzate in lunghe collane, per poterle gustare anche fuori stagione.

Il castagno, inoltre, è ricco di tannino, che viene utilizzato per la concia delle pelli e del cuocio, e proprio in provincia di Cosenza ha sede uno dei più grandi stabilimenti italiani per la lavorazione di questo importante prodotto.

E ora, passiamo all’assaggio.

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Garda Cooking’s Cup: Carpaccio di trota ai capperi di Gargnano

Essere tra i 40 fortunati prescelti per partecipare ad un evento importante come la Garda Cooking’s Cup è emozionante, gratificante, ma anche preoccupante.

Realizzare una ricetta con prodotti particolari come i capperi di Gargnano, lo zafferano di Pozzolengo, l’ olio extra-vergine del Garda Dop, il Chiaretto  del Garda, la farina gialla di Bedizzole e il Bagoss di Tremosine è una bella responsabilità.

Valorizzare eccellenze territoriali appena assaggiate, grazie al generoso invio da parte dei produttori, per farne risaltare al meglio sapori ed aromi, non è facile. Soprattutto, non è cosa che capita tutti i giorni. A me è capitato, grazie a AIFB.

Se poi si tratta di realizzare una ricetta con alcuni di questi prodotti ed un pesce di lago… ti si apre un mondo.

Per me, che vivo lunghi periodi sul meraviglioso altopiano della Sila, il pesce di lago è cibo quotidiano. I laghi silani, sebbene quasi tutti di origine artificiale, sono ricchi di pesce, da tinche e carpe a lucci e trote, dalle anguille ai lavarelli.

Lago Cecitaaaaa

Però. Il mio fornitore di fiducia mi dice che in questo periodo è consigliabile virare sulle trote, senza deviazioni di sorta, perché è il loro periodo. Io, che già fantasticavo su preparazioni inconsuete con pesci che non conosco, ho vagabondato fra i tre laghi più conosciuti, Arvo, Ampollino e Cecita, alla ricerca dei pescatori. Mi hanno detto che: a) le tinche e le carpe le ributtano in acqua perché sono poco saporite e rendono in parte commestibile meno di un terzo del loro peso. b) le anguille in questo periodo sono in tutt’altre faccende affaccendate; in pratica, stanno amoreggiando e hanno poche energie e poca consistenza. c) i coregoni silani son piccini e difficili da pulire d) i lucci ed i pesci gatto non si fanno acchiappare tanto facilmente. Ho dato retta all’esperto e sono andata sul sicuro, con una trota iridea fervidamente raccomandata.

Trota iridea

E questo è il risultato.

Garda Cooking’s Cup: carpaccio di trota ai capperi di Gargnano

Garda two

 

Ingredienti per due persone:

  • una trota iridea da 500 g
  • 30 g di capperi di Gargnano
  • 100 g di sale grosso
  • 100 g di zucchero di canna
  • olio extra vergine del Garda DOP
  • 50 g di farina gialla di Bedizzole
  • 50 g di Bagoss di Tremosine
  • 50 g di burro
  • 5 pomodori ciliegini gialli o rossi
  • un cucchiaino di zucchero semolato
  • un pizzico di finocchietto selvatico fresco
  • mezzo cucchiaino di sale fino

Tagliate i pomodorini a metà, disponeteli sulla teglia del forno e cospargeteli con lo zucchero, il sale fino e il finocchietto. Aggiungete poche gocce di olio extra-vergine del Garda e lasciateli asciugare in forno per un’ora a 150°.

Procedete alla pulizia del pesce: squamatelo accuratamente con l’apposito attrezzo, o la lama di un coltello. Fatelo prima di eviscerarlo, quando è ancora intero, per evitare che le squame possano finire nel corpo del pesce. E’ consigliabile, inoltre, compiere questa operazione nel lavello o in un contenitore a sponde alte, poiché le squame potrebbero schizzare ovunque.

Garda - Squamatura1

Tranciate la testa del pesce con un colpo netto ed asportate anche le pinne.

Tagliate, con un coltello o con una forbice, lungo il ventre della trota ed asportate le interiora.

Praticate un’incisione all’altezza della coda e passate con la lama del coltello (meglio se con l’apposito sfilettatore) lungo la lisca del pesce.

Dopo avere ottenuto il primo filetto, asportate la lisca prendendola per la coda e sollevandola delicatamente.

Garda - sfilettatura2

Ricavate delle fettine il più sottili possibili.

Sciacquate i capperi di Gargnano in acqua corrente, asciugateli bene e soffriggeteli nell’olio extra-vergine del Garda, fino a renderli croccanti. In alternativa, ungete di olio la piastra del forno ed asciugateli a 180 ° per una decina di minuti. Poi tritateli insieme a 100 g di sale grosso.

Garda - capperi3

In un contenitore capiente, preparate uno strato con metà del sale aromatizzato ai capperi e disponetevi i filetti di trota, poi ricoprite con l’altro sale e lasciate macerare per due ore.

Garda - sale4

Riprendete i filetti e ripetete il procedimento per un’ora, utilizzando zucchero di canna.

Nel frattempo, impastate 50 g di farina gialla di Bedizzole con 50 g di burro ammorbidito e 50 g di Bagoss grattugiato.

Stendete l’impasto e formate dei biscotti della forma di voluta e di 1/2 cm di spessore.

Infornateli a 170° per 4/5 minuti, fino a doratura.

Tagliate i filetti di trota in fettine il più possibile sottili.

Servite le fettine di trota sui biscotti ed aggiungete un mezzo pomodorino confit.

Logo-Garda-Cooking-Cup

Arte e cibo: pane e vino per le ultime cene.

L’arte e il cibo: un argomento difficile e complesso, ricco di sfaccettature ed interpretazioni.

Strettamente legati tra di loro: in fondo l’arte è rappresentazione di vita, e quale simbologia è attinente alla vita più del cibo?

Il cibo nell’arte è il tema del giorno, sul calendario del cibo italiano di AIFB.

 

L’Ambasciatrice è Maria Teresa Cutrone ed io mi sono talmente appassionata all’argomento, nonostante la mia scarsissima conoscenza artistica, da voler contribuire con qualche riga su uno dei soggetti più ritratti nei grandi dipinti, in tutti i tempi: l’Ultima Cena.

Ovviamente immancabili, in queste raffigurazioni, il pane ed il vino, citati da tutti e quattro gli Evangelisti, mentre non si ha notizia di quali altri piatti fossero serviti nell’occasione.

In accordo alle usanze della Pasqua ebraica, in alcuni dipinti è raffigurato l’agnello, come nella sontuosa mensa dipinta dal Tintoretto e conservata a Venezia, in San Giorgio Maggiore. Oltre ai già citati alimenti, compaiono anche frutta, minestra di verdura, manna. L’agnello si ritrova anche nelle opere dei meno noti fratelli Cantagallina e Jacopo Bassano.

Jacopo Bassano
Jacopo Bassano
Fratelli Cantagallina
Fratelli Cantagallina
Tintoretto
Tintoretto

In altre occasioni l’agnello è sostituito dal pesce, vuoi perché il quadro è commissionato da un convento domenicano, come nel caso dell’Ultima Cena di Leonardo presente in Santa Maria delle Grazie a Milano, per cui il pesce, alimento penitenziale, è più consono alla dottrina; vuoi per la simbologia che accomuna da sempre il Figlio di Dio al pesce.

Leonardo da Vinci
Leonardo da Vinci

Due grossi pesci sono in primo piano nel bellissimo mosaico in Sant’Apollinare Nuovo, a Ravenna e pesce viene servito alla tavola dipinta da Daniele Crespi.

Daniele Crespi
Daniele Crespi
Mosaico di Sant'Apollinare
Mosaico di Sant’Apollinare

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma, tornando ai temi fondamentali di questo articolo un po’ fuori dai miei soliti schemi, vorrei rientrare in una forma di arte che mi è più familiare, ossia la cucina. Per cui propongo una ricetta che mi sembra calzi a pennello in questa giornata: il pane al vino. Per prepararlo ho preso ispirazione, con qualche modifica, dal Beaujolais Bread di Lionel Vatinet, dal suo libro “A passion for bread”.

Ingredienti:

  • 355 g di farina 0
  • 150 g di lievito madre rinfrescato e attivo, idratato al 50%
  • 35 g di semi di lino
  • 7 g di sale
  • 20 g di malto d’orzo
  • 320 g di vino Cirò rosso
  • 1 cucchiaino di rosmarino tritato finemente

La ricetta originale prevedeva l’uso di lievito di birra, di vino Beaujolais (un po’ troppo costoso) e l’aggiunta di salame a pezzetti, chi io ho omesso.

Procedimento:

Sciogliere il lievito madre in metà vino, unendo il malto d’orzo.

Riunire in una ciotola la farina con il sale e i semi di lino, poi aggiungere il lievito madre sciolto e, poco alla volta, il resto del vino.

Potrebbe non essere necessario utilizzare tutto il vino: il composto deve comunque risultare molto morbido, e leggermente appiccicoso.

Trasferire l’impasto sulla spianatoia leggermente infarinata e lavorarlo per dieci minuti almeno, formando pieghe del primo tipo (si prendono i lembi esterni dell’impasto e si ripiegano verso il centro) aiutandovi all’inizio con un tarocco.

Non aggiungete farina.

Raccogliere l’impasto a palla e metterlo a lievitare coperto in un posto tiepido (l’ideale è il forno con la lucina accesa).

Lasciare riposare per un’ora, poi ripetere le pieghe e rimettere a lievitare per un’altra ora.

Ripetere una terza volta il procedimento e lasciare lievitare per altre due ore.

Stendere l’impasto, cospargerlo con il rosmarino, avvolgerlo più volte per amalgamare bene il tutto, poi stenderlo nuovamente e ricavarne il numero di pezzi desiderato. Potete farne palline da assemblare tipo Danubio, oppure pagnotte e filoni più grossi, da affettare.

Lasciate nuovamente riposare i pezzi formati per un’ora e mezza, poi cuocete a 200° per mezz’ora circa, i primi dieci minuti nella parte bassa del forno, con una teglia sistemata sul ripiano superiore, a fare da barriera, poi togliete la teglia e spostate il pane nel ripiano superiore. Ovviamente dipende dalla resa del forno e dalla grandezza delle pezzature.

Pane al vino (1)

Stoccafisso e baccalà, una settimana dedicata

Stoccafisso e baccalà, due diversi metodi di conservazione per uno stesso pesce.

Il Calendario del cibo italiano di AIFB dedica questa settimana a questi due prodotti che, sebbene non siano italiani come origine e produzione, sono entrati a fare parte a tutti gli effetti della nostra tradizione gastronomica.

Ho il graditissimo incarico di fare da ambasciatrice a queste squisitezze e ho cercato di sintetizzarne storia e particolarità, ma avrei potuto riempire libri e libri sull’argomento.

Tra l’altro, di alcune particolarità del baccalà ho avuto modo di parlare anche su RadioRai1, nel corso di questa trasmissione: Mary Pop del 24/12

Stoccafisso e baccalà si prestano ad innumerevoli ricette, dagli antipasti ai fingerfood, caldi o freddi, passando per primi e secondi.

Sono presenti in tutte le regioni d’Italia e ogni zona ha una sua particolare preparazione.

Sono legati a leggende e tradizioni e hanno radici storiche di tutto rispetto.

Per saperne di più e leggere anche i preziosi contributi dei miei colleghi sull’argomento, vi invito a leggere l’articolo pubblicato QUI.

Di seguito vi segnale invece alcune delle ricette che ho realizzato con questi prodotti, sperando che siano di vostro gradimento:

Torta salata con baccalà mantecato

Insalata di baccalà

Tubicini al baccalà

Baccalà in umido con patate

Qui sotto trovate invece i link ai bellissimi articoli dei contributors:

http://saporiedissaporifood.blogspot.it/2016/05/a-bassa-temperatuta-e-meglio.html Erica Zampieri

http://www.lericettediluci.com/2016/05/23/genovese-di-baccala/ Lucia Melchiorre

http://unpezzodellamiamaremma.com/ceci-e-baccala-con-pici-su-crema-di-ceci/ Tamara Giorgetti

http://unpezzodellamiamaremma.com/baccala-un-po-alla-livornese-e-un-po-di-casa-mia/ Tamara Giorgetti

http://www.thekitchentalesofwally.it/torretta-di-baccala-e-patate.php Walter Zanirato

http://corradot.blogspot.it/2016/05/tortelli-di-baccala-e-ricotta-al.html Corrado Tumminelli

http://corradot.blogspot.it/2016/05/bocconcini-di-baccala-su-squacquerone.html Corrado Tumminelli

http://alterkitchen.it/2016/05/27/baccala-e-peperoni-alla-napoletana/ Giulia Robert

http://lamascaincucina.it/lo-stoccafisso-nella-tradizione-genovese/ Silvia Leoncini

http://www.quattropassincucina.it/baccala-mantecato-un-cicheto-veneziano/ Sonia Nieri Turini

http://www.tagliapietrasrl.com/blog/ricette/ricetta-polpette-di-baccala-fritto/ Tagliapietra Srl

http://paradisoalloyogurt.blogspot.it/2013/03/polpettine-di-baccala-al-pomodoro.html Claudia Varriale

http://paradisoalloyogurt.blogspot.it/2015/01/baccala-dorato-con-olive-e-capperi.html Claudia Varriale

Seppioline con i piselli

seppioline

Oggi andiamo di seppioline, e vi spiego il perché.

E’ la giornata nazionale delle seppie con piselli, nel calendario del cibo italiano di AIFB; l’Ambasciatrice, Erica Zampieri del blog “Sapori e dissapori” ce ne parla ampiamente nel bell’articolo che vi invito a leggere.

E’ un piatto molto amato in famiglia, ma ad essere onesta, una seppia intera, considerato il peso notevole, è davvero troppo per noi due. Dunque, ripiego sulle seppioline e non mi vergogno a dire che le prendo surgelate.

Vero, perdono sapore rispetto ad una seppia fresca, ma con il sistema di cottura sottovuoto #sousvidealladin riesco a preservarne il gusto, a renderle morbide al punto da essere quasi cremose e in più non devo preoccuparmi di sorvegliarne la cottura. E quando si va sempre di fretta, credetemi, è una vera salvezza.

Ecco la mia ricetta.

Seppioline con i piselli

Ingredienti per 4 persone:

  • 500 g di seppioline già pulite
  • 300 g di pisellini primavera
  • una cipolla bianca
  • sale, pepe, finocchietto selvatico
  • un peperoncino (se piace)
  • un cucchiaino di concentrato di pomodoro
  • olio extra vergine di oliva

Preparazione:

Ungere con poco olio il fondo della vasca del #sousvideAlladin con poco olio, per permettere una diffusione omogenea del calore.

Pulire ed affettare finemente la cipolla e sistemarla nella vasca insieme ai piselli, le seppioline, il peperoncino tagliuzzato.

Cospargere il tutto con sale e finocchietto.

Aggiungere il concentrato di pomodoro sciolto in mezzo bicchiere di acqua.

Chiudere la vasca, fare il sottovuoto con la pompa in dotazione ed infornare in modalità “ventilato” a 160° per 25 minuti.

Le seppioline non rischiano, con questo sistema , di diventare dure o stoppose, cosa che può accadere con una cottura sbagliata; conservano dimensione e aspetto inalterati; anche i piselli rimangono integri e compatti e, soprattutto non si disperderanno tutti i componenti nutrizionali benefici degli alimenti.

Io accompagno le mie seppioline con qualche fetta di pane integrale, così il mio pasto è completo.

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Cucina di frontiera: il kabunì arbëreshë

La cucina di frontiera è l’argomento trattato questa settimana da Marina Bogdanovic, del blog “Mademoiselle Marina” nel calendario del cibo italiano di AIFB.

Per cucina di frontiera si intende l’insieme di quei piatti tradizionali dei paesi nostri limitrofi, che con il passare del tempo sono entrati a far parte delle nostre tradizioni.

Dallo strüdel alla saint-honoré, dalle crépes ai canederli, sono infiniti i piatti che ci scambiamo da una lato all’altro del confine.

La Calabria, nel corso dei secoli, ha assimilato usi e tradizioni da molte civiltà: è stata destinataria di invasioni ed immigrazioni da ogni punto cardinale.

Di bizantini, romani, normanni, svevi, arabi, spagnoli, turchi, rimangono tracce nell’architettura e nell’arte: chiese, castelli e manufatti di una bellezza inimmaginabile riempiono la regione.

isoladi

I visigoti hanno sepolto il loro re Alarico, secondo la leggenda, alla confluenza tra Crati e Busento: la città di Cosenza è tutt’oggi meta di ricercatori, studiosi e semplici speranzosi alla ricerca dell’aurea tomba dove si dice che, oltre al cavallo ed all’armatura di Alarico, siano sepolte anche le sue ricchezze.

Una piccola comunità valdese è presente sulla costa tirrenica cosentina: a Guardia Piemontese si parla l’incomprensibile guardiolo, derivato locale dalla lingua occitana e si danzano i caratteristici balli nel corso della settimana occitana, in agosto.

Più nutrita la comunità grecanica, sul versante jonico della provincia di Reggio Calabria: Bova, Condofuri, Roccaforte, il meraviglioso paese “fantasma” di Pentedattilo ne fanno parte.

Ma la presenza più massiccia in assoluto è quella albanese. In Calabria si registra il più alto numero di albanesi: circa 60.000, suddivisi in una trentina di comuni.

Cucinaaa

Il loro arrivo in Calabria iniziò nel 1400, con i militari albanesi al servizio di feudatari ed angioini che si combattevano tra di loro.

Successive migrazioni, soprattutto dopo la morte del loro eroe nazionale Giorgio Skanderbeg,  portarono in Italia un nutrito numero di albanesi che si insediarono nel meridione ed in particolare nella provincia di Cosenza, fondando delle comunità che conservano ancora oggi usi, tradizioni, cucina e lingua arbëreshë.

Nel cuore della Cosenza storica, ai piedi della collina su cui sorge il castello, vi è un busto dedicato a Skanderbeg, a testimoniare la forte presenza di queste comunità.

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Il dialetto parlato in questi paesi (Vaccarizzo Albanese, Spezzano Albanese, San Benedetto Ullano per citarne alcuni) è un misto di toskë, il dialetto dell’Albania meridionale, greco antico e dialetto calabrese.

“U zienj” “io cucino” è una delle prime cose che ho imparato da mia suocera, insieme a “falaminderit” “grazie”, e, ovviamente, tutte le parolacce.

Da lei ho imparato anche il kabunì, che sarebbe riso cotto in brodo di montone.

Però, per quanto strano vi possa sembrare, è un dolce.

Albania

Ingredienti:

  • 70 g di riso
  • 600 ml circa di brodo di montone (o di altra carne rossa)
  • Una stecca di cannella
  • Qualche chiodo di garofano
  • Una bacca di vaniglia
  • 50 g di burro
  • 50 g di zucchero
  • 50 g di uvetta
  • 30 g di mandorle tritate

Procedimento:

Mettere l’uvetta a mollo in acqua tiepida (o nel rum, per un sapore più deciso)

Scaldare il brodo di montone e lasciarlo sobbollire con dentro la cannella, i chiodi di garofano e la bacca di vaniglia.

Sciogliere il burro e tostarvi leggermente il riso, poi procedere come un normale risotto, aggiungendo il brodo poco per volta e mescolando fino a cottura quasi completa: deve restare un po’ al dente e piuttosto asciutto.

Lasciare intiepidire, poi aggiungere l’uvetta ben strizzata, le mandorle tritate e lo zucchero.

Compattate l’impasto in uno stampo e lasciate raffreddare in frigo per 3/4 ore.

Sformate, tagliate a quadretti e guarnite con zucchero a velo, uvetta e mandorle intere.

Io li ho preparati direttamente in uno stampo di silicone, già porzionati.

Albania per FB

Lingua in salsa verde

Lingua di bovino: l’idea di mangiarla mi ha creato qualche difficoltà iniziale.

E’ un problema comune, collegato non solo alla lingua, ma a tutti quei tagli di carne “povera”, definiti quinto quarto, ai quali è dedicata questa settimana sul calendario del cibo italiano di AIFB.

Anzi, a tal proposito vi invito a leggere il bellissimo articolo di Cristiana Di Paola, fondatrice e curatrice del blog “Beuf à la mode“.

L’articolo di Cristiana è stata la spinta necessaria a vincere la mia ritrosìa. Ricordavo di avere già assaggiato la lingua in bagnét verd, durante le mia vacanze estive dalla nonna piemontese, ma era passato tanto tempo e non ricordo più se mi piacesse oppure no. Però, mi son detta: se l’ho fatto da bambina, posso rifarlo ora.

Così mi sono avventurata in questa preparazione, anche un po’ rievocativa.

La lingua di bovino, vitello o manzo che sia, tra le frattaglie è quella dal minore apporto nutritivo. Solo il 15/20% di proteine e ancor meno grassi, pochi sali minerali e poche vitamine.

Per questi motivi ha un sapore meno forte, e può essere facilmente inserita in qualunque tipo di dieta.

Unendo i miei ricordi fanciulleschi con quelli di mia madre, è scaturita questa ricetta, utilizzando la cottura sottovuoto.

Ingredienti:

  • una lingua di vitello da 500 g circa
  • una carota
  • una cipolla
  • un gambo di sedano
  • un cucchiaino di sale
  • pepe verde in grani
  • bacche di ginepro
  • olio extra vergine di oliva
  • aceto bianco
  • 50 g di prezzemolo fresco
  • un tuorlo d’uovo sodo

Preparazione:

Strofinare la lingua di vitello con sale grosso e sciacquarla in acqua corrente.

Lasciarla a bagno in acqua per qualche ora, sostituendo spesso il liquido.

Sistemarla nella vasca del sistema di cottura, leggermente unta con olio extra vergine di oliva (io uso il sousvideAlladin, chi non ce l’ha può utilizzare i sacchetti da sottovuoto con relativa macchina aspirante).

Aggiungere il sedano, la carota e la cipolla puliti e tagliati in pezzi, il pepe, il ginepro e mezzo bicchiere di acqua, poi chiudere bene il coperchio.

A Lingua cruda

Fare il sottovuoto e infornare in modalità “ventilato” a 150° per 2 ore e mezza.

Chi utilizza il sacchetto lo cuocerà per 6 ore in una pentola capiente mantenendo con il roner la temperatura a 70°.

Una volta cotta la lingua, inciderla ed asportare la pelle. Se la cottura è giusta, verrà via con facilità.

A Lingua cotta

Togliere il pepe ed il ginepro e frullare i restanti odori con 50 g di prezzemolo fresco, un tuorlo d’uovo sodo, un cucchiaino scarso di aceto bianco e un cucchiaino di olio (aggiungere o togliere a piacere, secondo la densità desiderata).

Affettare finemente la lingua e coprirla con la salsa.

A Lingua FB

Che dire? Non la ricordavo così gustosa e tenera. Sto rivalutando il quinto quarto ed ora passo a tutte le altre bellissime ricette postate sul sito dell’AIFB in questa settimana!

Calamari ripieni per il Calendario del Cibo Italiano

 Di calamari ripieni ci parla, in maniera esauriente e precisa, Claudia Primavera del blog “La Pagnotta Innamorata“.

Oggi nel Calendario del cibo italiano è la giornata dedicata a questa squisita preparazione e non poteva esserci, quindi, momento migliore per raccontarvi la mia ultima interpretazione dei calamari ripieni.

Da quanto ho scoperto la cottura sottovuoto la applico a diverse preparazioni, ma i molluschi e la carne sono gli ingredienti che mi danno maggiore soddisfazione.

Sarà che per azzeccare la cottura dei calamari ci vuole un’abilità che io probabilmente non ho, o qualche trucco che non conosco; fatto sta che non ero mai del tutto soddisfatta.

Con il sottovuoto, invece, si sciolgono letteralmente in bocca.

La cottura sottovuoto si può realizzare con i sacchetti comunemente usati per la conservazione e successivamente immersi in acqua a temperatura controllata con un rooner, oppure con la teglia alla quale si applica una pompa aspirante.

Ovviamente, nulla impedisce a “quelli bravi” di cuocere i calamari in maniera tradizionale. Io vi regalo la ricetta!

Calamari ripieni

Ingredienti:

  • due calamari da 150 g l’uno circa
  • una patata media
  • 80 g di tonno sott’olio
  • Un pizzico di prezzemolo tritato
  • un cucchiaio di capperi sott’aceto
  • un cucchiaino di pasta d’acciughe, o 4/5 acciughe sott’olio
  • un cucchiaino di olio extra vergine di oliva
  • un pizzico di pepe nero

 

Pulite i calamari, eliminando le interiora e tenendo da parte i ciuffi di tentacoli e le ali.

Grattugiate la patata (QUI trovate un trucchetto per facilitare l’operazione) e amalgamatela al tonno sgocciolato e al prezzemolo.

Tritate nel mixer le ali dei calamari insieme ai capperi ben strizzati ed alle acciughe.

Miscelate i due composti e farcite i calamari.

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Riempiteli generosamente, tanto con la cottura sottovuoto non si ritirano come normalmente avviene, e chiudeteli con uno stuzzicadenti, poi sistemateli nella teglia, fate il sottovuoto e mettete in forno a 160° (ventilato) per 40 minuti.

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