Tartufini di cioccolato con marron glacé e farina di castagne

I tartufini sono quelle goduriosissime palline composte essenzialmente di cioccolato.

E già questo potrebbe bastare a giustificarne l’altissimo gradimento.

Se poi si aggiunge che sono semplicissimi da realizzare, si possono arricchire in tantissimi modi e vanno a ruba in ogni occasione… che dire, non ci resta che prepararli a quintalate.

In occasione della “settimana nazionale della castagna” sul Calendario del cibo italiano di AIFB, di cui è preparatissima ambasciatrice la mia amica, collega, sister-in-web e socia-in-disastri Silvia Leoncini, nota come “La Masca in cucina“, ho prodotto una versione di tartufini con l’aggiunta di marron glacé e farina di castagne.

Il mio amatissimo altopiano della Sila, oltretutto, è ricco di castagneti.

Le castagne silane hanno una forma arrotondata da un lato e piatta dall’altro. La loro polpa è piuttosto asciutta e a un sapore dolce molto intenso.

Tre sono le qualità più comuni: Castagna reggiola, Castagna ‘nzerta e Castagna curcia.
La castagna reggiola è un po’ più grande delle altre e si sbuccia con molta facilità. Le castagne ‘nzerte sono più difficili da sbucciare e nelle curcie la buccia interna si toglie solo se bollite.

Vengono utilizzate in innumerevoli ricette, sia dolci che salate, e conservate in barattolo sotto forma di confettura, nel rum, con l’aggiunta di cioccolato, o semplicemente essiccate ed infilzate in lunghe collane, per poterle gustare anche fuori stagione.

Il castagno, inoltre, è ricco di tannino, che viene utilizzato per la concia delle pelli e del cuocio, e proprio in provincia di Cosenza ha sede uno dei più grandi stabilimenti italiani per la lavorazione di questo importante prodotto.

E ora, passiamo all’assaggio.

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Arte e cibo: pane e vino per le ultime cene.

L’arte e il cibo: un argomento difficile e complesso, ricco di sfaccettature ed interpretazioni.

Strettamente legati tra di loro: in fondo l’arte è rappresentazione di vita, e quale simbologia è attinente alla vita più del cibo?

Il cibo nell’arte è il tema del giorno, sul calendario del cibo italiano di AIFB.

 

L’Ambasciatrice è Maria Teresa Cutrone ed io mi sono talmente appassionata all’argomento, nonostante la mia scarsissima conoscenza artistica, da voler contribuire con qualche riga su uno dei soggetti più ritratti nei grandi dipinti, in tutti i tempi: l’Ultima Cena.

Ovviamente immancabili, in queste raffigurazioni, il pane ed il vino, citati da tutti e quattro gli Evangelisti, mentre non si ha notizia di quali altri piatti fossero serviti nell’occasione.

In accordo alle usanze della Pasqua ebraica, in alcuni dipinti è raffigurato l’agnello, come nella sontuosa mensa dipinta dal Tintoretto e conservata a Venezia, in San Giorgio Maggiore. Oltre ai già citati alimenti, compaiono anche frutta, minestra di verdura, manna. L’agnello si ritrova anche nelle opere dei meno noti fratelli Cantagallina e Jacopo Bassano.

Jacopo Bassano
Jacopo Bassano
Fratelli Cantagallina
Fratelli Cantagallina
Tintoretto
Tintoretto

In altre occasioni l’agnello è sostituito dal pesce, vuoi perché il quadro è commissionato da un convento domenicano, come nel caso dell’Ultima Cena di Leonardo presente in Santa Maria delle Grazie a Milano, per cui il pesce, alimento penitenziale, è più consono alla dottrina; vuoi per la simbologia che accomuna da sempre il Figlio di Dio al pesce.

Leonardo da Vinci
Leonardo da Vinci

Due grossi pesci sono in primo piano nel bellissimo mosaico in Sant’Apollinare Nuovo, a Ravenna e pesce viene servito alla tavola dipinta da Daniele Crespi.

Daniele Crespi
Daniele Crespi
Mosaico di Sant'Apollinare
Mosaico di Sant’Apollinare

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma, tornando ai temi fondamentali di questo articolo un po’ fuori dai miei soliti schemi, vorrei rientrare in una forma di arte che mi è più familiare, ossia la cucina. Per cui propongo una ricetta che mi sembra calzi a pennello in questa giornata: il pane al vino. Per prepararlo ho preso ispirazione, con qualche modifica, dal Beaujolais Bread di Lionel Vatinet, dal suo libro “A passion for bread”.

Ingredienti:

  • 355 g di farina 0
  • 150 g di lievito madre rinfrescato e attivo, idratato al 50%
  • 35 g di semi di lino
  • 7 g di sale
  • 20 g di malto d’orzo
  • 320 g di vino Cirò rosso
  • 1 cucchiaino di rosmarino tritato finemente

La ricetta originale prevedeva l’uso di lievito di birra, di vino Beaujolais (un po’ troppo costoso) e l’aggiunta di salame a pezzetti, chi io ho omesso.

Procedimento:

Sciogliere il lievito madre in metà vino, unendo il malto d’orzo.

Riunire in una ciotola la farina con il sale e i semi di lino, poi aggiungere il lievito madre sciolto e, poco alla volta, il resto del vino.

Potrebbe non essere necessario utilizzare tutto il vino: il composto deve comunque risultare molto morbido, e leggermente appiccicoso.

Trasferire l’impasto sulla spianatoia leggermente infarinata e lavorarlo per dieci minuti almeno, formando pieghe del primo tipo (si prendono i lembi esterni dell’impasto e si ripiegano verso il centro) aiutandovi all’inizio con un tarocco.

Non aggiungete farina.

Raccogliere l’impasto a palla e metterlo a lievitare coperto in un posto tiepido (l’ideale è il forno con la lucina accesa).

Lasciare riposare per un’ora, poi ripetere le pieghe e rimettere a lievitare per un’altra ora.

Ripetere una terza volta il procedimento e lasciare lievitare per altre due ore.

Stendere l’impasto, cospargerlo con il rosmarino, avvolgerlo più volte per amalgamare bene il tutto, poi stenderlo nuovamente e ricavarne il numero di pezzi desiderato. Potete farne palline da assemblare tipo Danubio, oppure pagnotte e filoni più grossi, da affettare.

Lasciate nuovamente riposare i pezzi formati per un’ora e mezza, poi cuocete a 200° per mezz’ora circa, i primi dieci minuti nella parte bassa del forno, con una teglia sistemata sul ripiano superiore, a fare da barriera, poi togliete la teglia e spostate il pane nel ripiano superiore. Ovviamente dipende dalla resa del forno e dalla grandezza delle pezzature.

Pane al vino (1)

Stoccafisso e baccalà, una settimana dedicata

Stoccafisso e baccalà, due diversi metodi di conservazione per uno stesso pesce.

Il Calendario del cibo italiano di AIFB dedica questa settimana a questi due prodotti che, sebbene non siano italiani come origine e produzione, sono entrati a fare parte a tutti gli effetti della nostra tradizione gastronomica.

Ho il graditissimo incarico di fare da ambasciatrice a queste squisitezze e ho cercato di sintetizzarne storia e particolarità, ma avrei potuto riempire libri e libri sull’argomento.

Tra l’altro, di alcune particolarità del baccalà ho avuto modo di parlare anche su RadioRai1, nel corso di questa trasmissione: Mary Pop del 24/12

Stoccafisso e baccalà si prestano ad innumerevoli ricette, dagli antipasti ai fingerfood, caldi o freddi, passando per primi e secondi.

Sono presenti in tutte le regioni d’Italia e ogni zona ha una sua particolare preparazione.

Sono legati a leggende e tradizioni e hanno radici storiche di tutto rispetto.

Per saperne di più e leggere anche i preziosi contributi dei miei colleghi sull’argomento, vi invito a leggere l’articolo pubblicato QUI.

Di seguito vi segnale invece alcune delle ricette che ho realizzato con questi prodotti, sperando che siano di vostro gradimento:

Torta salata con baccalà mantecato

Insalata di baccalà

Tubicini al baccalà

Baccalà in umido con patate

Qui sotto trovate invece i link ai bellissimi articoli dei contributors:

http://saporiedissaporifood.blogspot.it/2016/05/a-bassa-temperatuta-e-meglio.html Erica Zampieri

http://www.lericettediluci.com/2016/05/23/genovese-di-baccala/ Lucia Melchiorre

http://unpezzodellamiamaremma.com/ceci-e-baccala-con-pici-su-crema-di-ceci/ Tamara Giorgetti

http://unpezzodellamiamaremma.com/baccala-un-po-alla-livornese-e-un-po-di-casa-mia/ Tamara Giorgetti

http://www.thekitchentalesofwally.it/torretta-di-baccala-e-patate.php Walter Zanirato

http://corradot.blogspot.it/2016/05/tortelli-di-baccala-e-ricotta-al.html Corrado Tumminelli

http://corradot.blogspot.it/2016/05/bocconcini-di-baccala-su-squacquerone.html Corrado Tumminelli

http://alterkitchen.it/2016/05/27/baccala-e-peperoni-alla-napoletana/ Giulia Robert

http://lamascaincucina.it/lo-stoccafisso-nella-tradizione-genovese/ Silvia Leoncini

http://www.quattropassincucina.it/baccala-mantecato-un-cicheto-veneziano/ Sonia Nieri Turini

http://www.tagliapietrasrl.com/blog/ricette/ricetta-polpette-di-baccala-fritto/ Tagliapietra Srl

http://paradisoalloyogurt.blogspot.it/2013/03/polpettine-di-baccala-al-pomodoro.html Claudia Varriale

http://paradisoalloyogurt.blogspot.it/2015/01/baccala-dorato-con-olive-e-capperi.html Claudia Varriale

Una giornata del cavolo

Col cavolo, cavolo a merenda, non diciamo cavolate.

Ma perché della “brassica oleracea” si parla sempre in accezioni negative? Come di qualcosa di insipiente, inconsistente, fuori contesto, che non c’entra, che non vale. In parte per la sua enorme diffusione, che lo rende di scarso valore commerciale.

Eppure entra quasi dappertutto, in tutte le sue sfumature. Con carne, pesce, nelle minestre, nelle insalate, crudo, cotto. E a proposito di sfumature, ma avete visto quanti colori? Dal bianco al viola, passando per il verde, il rosso, il rosa.

E la bellezza geometrica del mistero frattale nelle sue spirali e nelle sue cime? Il broccolo romano è tuttora oggetto di studio accurato, per la precisione nella ripetizione dei suoi disegni.

Per non parlare della ricchezza interiore: ha più ferro della carne, è ricco di fibre e di calcio, è antinfiammatorio, disintossicante ed antitumorale. E scusate se è poco.

C’è da comporre un poema, ma sarebbe un poema del cavolo e, come tale, trascurato dal pubblico e dalla critica.

Per cui, ci limitiamo a mangiarlo, in tutti i modi sperimentati e anche qualcuno in più.

Tra l’altro, c’è da dire che in Calabria il cavolo ed in particolare la verza, ha una lunga tradizione, legata in particolare al periodo immediatamente dopo capodanno, quando si tiene, nei paesi e nelle contrade della presila e non solo, la controversa sagra del maiale. Alla gran festa conseguente all’uccisione dell’animale, sono serviti piatti in cui la verza la fa da padrona: dagli involtini all’accompagnamento di stufati e brasati, alla semplice insalata di contorno.

Alcune delle mie ricette:

Polpette con verza

Cavolo stufato all’aceto

Fagottini di cavolo cappuccio

Ravioli con cavolo viola e raviggiolo

Involtini di verza e riso integrale

Rosso relativo per la minestra allegra

 

 

 

Calamari ripieni per il Calendario del Cibo Italiano

 Di calamari ripieni ci parla, in maniera esauriente e precisa, Claudia Primavera del blog “La Pagnotta Innamorata“.

Oggi nel Calendario del cibo italiano è la giornata dedicata a questa squisita preparazione e non poteva esserci, quindi, momento migliore per raccontarvi la mia ultima interpretazione dei calamari ripieni.

Da quanto ho scoperto la cottura sottovuoto la applico a diverse preparazioni, ma i molluschi e la carne sono gli ingredienti che mi danno maggiore soddisfazione.

Sarà che per azzeccare la cottura dei calamari ci vuole un’abilità che io probabilmente non ho, o qualche trucco che non conosco; fatto sta che non ero mai del tutto soddisfatta.

Con il sottovuoto, invece, si sciolgono letteralmente in bocca.

La cottura sottovuoto si può realizzare con i sacchetti comunemente usati per la conservazione e successivamente immersi in acqua a temperatura controllata con un rooner, oppure con la teglia alla quale si applica una pompa aspirante.

Ovviamente, nulla impedisce a “quelli bravi” di cuocere i calamari in maniera tradizionale. Io vi regalo la ricetta!

Calamari ripieni

Ingredienti:

  • due calamari da 150 g l’uno circa
  • una patata media
  • 80 g di tonno sott’olio
  • Un pizzico di prezzemolo tritato
  • un cucchiaio di capperi sott’aceto
  • un cucchiaino di pasta d’acciughe, o 4/5 acciughe sott’olio
  • un cucchiaino di olio extra vergine di oliva
  • un pizzico di pepe nero

 

Pulite i calamari, eliminando le interiora e tenendo da parte i ciuffi di tentacoli e le ali.

Grattugiate la patata (QUI trovate un trucchetto per facilitare l’operazione) e amalgamatela al tonno sgocciolato e al prezzemolo.

Tritate nel mixer le ali dei calamari insieme ai capperi ben strizzati ed alle acciughe.

Miscelate i due composti e farcite i calamari.

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Riempiteli generosamente, tanto con la cottura sottovuoto non si ritirano come normalmente avviene, e chiudeteli con uno stuzzicadenti, poi sistemateli nella teglia, fate il sottovuoto e mettete in forno a 160° (ventilato) per 40 minuti.

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Fonduta valdostana, il cacimperio del Pellegrino

Fonduta valdostana

La fonduta valdostana, che oggi si ricorda nel Calendario del cibo italiano, grazie allo splendido articolo di Tiziana Bontempi  del blog “Profumo di broccoli“, a Pellegrino Artusi non piaceva granchè.

Sulla fonduta valdostana, che lui chiama “cacimperio” si dichiarava in disaccordo con Brillat Savarin, che ne tesseva le lodi nella sua Physiologie du gôut.

O almeno, non lo considerava un gran piatto, se non “come principio un una colazione o per ripiego quando manca di meglio“.

Io invece adoro la fonduta. Sarà che le mie origini piemontesi ogni tanto si risvegliano, sarà che amo la fontina o sarà che farei il bagno in tutto ciò che è salsa, cremina o intingolo al formaggio, ma non la definirei certo un ripiego.

Non la preparo spesso perché non è esattamente un piatto che si possa definire “dietetico” o “salutistico”, ma se è vero che semel in anno licet insavire, direi proprio che oggi è la giornata giusta.

La ricetta è esattamente quella dell’Artusi, a lui fornita da amici torinesi, e la ricopio pari pari.

Aggiungo, per i dubbiosi, che i miei amici valdostani DOC la fanno proprio così.

Il riferimento al gruyère avvalora l’ipotesi dell’origine svizzera della ricetta, ancora oggi non del tutto accertata.

Ingredienti per 6 persone:

  • Fontina, netta dalla corteccia, grammi 400
  • Burro, grammi 80
  • Rossi d’uovo, N. 4
  • Latte, quanto basta

La fontina è un formaggio poco dissimile dal gruiera, ma alquanto più grasso.

Tagliatelo a piccoli dadi e tenetelo per due ore in infusione nel latte.

Mettete il burro al fuoco e quando avrà preso colore versateci la fontina, ma del latte, ove è stata in molle, lasciatecene due sole cucchiaiate.

Lavoratela molto col mestolo senza farla bollire e quando il formaggio sarà tutto sciolto ritiratela dal fuoco per aggiungervi i rossi.

Rimettetela per un poco sul fuoco rimestandola ancora.

Fonduta valdostana

A questo punto l’Artusi suggerisce l’aggiunta, che condivido appieno, di fettine sottilissime di tartufo bianco. Non avendone sempre a disposizione, mi accontento di tartufo nero o una bella spolverata di pepe nero.

La servo nelle apposite ciotoline riscaldate, e a questo punto si va di dadini di pane, cubetti di polenta, gnocchi di patate, tutto ciò che la vostra golosa fantasia vi suggerirà di intingervi.