Uva sciroppata alla grappa

uva

Uva. 6.154 varietà al mondo, 453 in Italia, che è al terzo posto (dati O.I.V.)

Io ne conoscerò una decina, a voler essere ottimisti. Bianca, nera, rossa, con chicchi lunghi e sodi oppure piccoli e tondi, dolci come quelli dell’uva fragola.

Quando ero piccina e trascorrevo le vacanze dalla nonna Neta, in Piemonte, ricordo che ogni tanto si andava a trovare la cugina Terzilla alla Cà Granda, nel vercellese.

Era un tipo di abitazione molto comune in quella zona: agglomerati di case di ringhiera che circondavano un cortile interno. Il cortile della Cà Granda aveva un muro interamente ricoperto di uva fragola (la Terzilla la chiamava “americana”) ed io ne facevo grandi scorpacciate mentre le due cugine ciacolavano. Continua a leggere “Uva sciroppata alla grappa”

E venne il giorno della passata di pomodoro

e venne

E venne il giorno della passata di pomodoro e fu festeggiato dal Calendario del Cibo Italiano.

Ma siamo sicuri sicuri che sia davvero una festa? Festa vuol dire divertimento, allegria, magari anche riposo.

Eppure, in agosto, proprio nel pieno delle sospirate vacanze, quando ci si vorrebbe dedicare esclusivamente al dolce far niente, un bel giorno arrivano le temute cassette di pomodoro… il sangue si gela nelle vene, nonostante i 40° all’ombra; la vista si appanna e le dita dei piedi si allungano verso la fuga (muovere anche il resto è impensabile, siamo a riposo). Continua a leggere “E venne il giorno della passata di pomodoro”

Confettura di sambuco alla grappa

La confettura di sambuco non è gradita a tutti, per il suo gusto lievemente acidulo.

A me piace molto perché non sono un’amante del dolce; per renderla piacevole anche ai miei ospiti, l’ho ingentilita con un tocco di vaniglia e ne ho esaltato il sapore con l’aggiunta finale della grappa.

Il risultato è stato davvero strepitoso. E’ tuttavia molto importante, per la perfetta riuscita e per non renderla davvero troppo aspra, scegliere le bacche di sambuco perfettamente mature. Continua a leggere “Confettura di sambuco alla grappa”

Salsa di pomodoro – cottura sottovuoto

Preparare le provviste di la salsa di pomodoro per l’inverno, in Calabria è una tradizione irrinunciabile.

Anche perché in questa terra miracolosa, con questo sole brillante, il pomodoro è d’oro per davvero.

Certo, quei pentoloni di sugo in ebollizione per ore, sotto il sole cocente d’estate, non sono proprio il massimo del divertimento. Riempire in pieno agosto “buttiglie e buccacci” (QUI trovate la descrizione di una giornata-tipo, se volete farvi due risate) è una specie di tortura cinese, ma la tradizione è tradizione e non si scappa.

E poi, vogliamo parlare della soddisfazione di assaporare, magari a febbraio, il gusto dolce e succoso della passata di pomodoro? O dell’acquolina che scorre a rivoli alla vista dei vasetti con i pomodori essiccati, e l’acciughina che fa capolino tra un cappero e un rametto di finocchietto selvatico?

Io non ne preparo molta, di solito. Poche bottiglie per noi due, e qualcosa da mandare al pargolo ormai romanizzato.

Ma di stare ore ed ore a rimestare nella pentola no, non ce la facevo proprio, in questa torrida estate da 50 gradi.

Però, io ho il #souvideAlladin, no? E allora, ci ho provato.

  • un kg. di pomodori sammarzano
  • qualche foglia di basilico
  • un cucchiaino di sale
  • olio extravergine di oliva

Lavare e tagliare a pezzettini i pomodori e metterli nella teglia del #sousvideAlladin .

Fare il sottovuoto, infornare a 160° per un’ora e andare a farsi una passeggiata o un pisolino, tanto se ci restano un po’ di più non gli succederà nulla: con questo sistema non possono bruciare, né attaccarsi al fondo.

Passare i pomodori al setaccio per eliminare bucce e semi, aggiungere il sale e mettere sul fuoco il tempo di portarli a bollore. Non sarà necessario farli cuocere ancora, poiché la salsa sarà già sufficientemente densa.

Versare nelle bottiglie, o nei vasetti, precedentemente sterilizzati facendoli bollire per una ventina di minuti, aggiungere una o due foglie di basilico e coprire con un giro d’olio.

A questo punto, si possono capovolgere e lasciare raffreddare, oppure, per maggiore sicurezza, avvolgere in uno strofinaccio per evitare rotture e fare nuovamente bollire in acqua per ulteriori venti minuti.

Dunque, mi sono risparmiata un paio d’ore di prima bollitura a vista (quindi, davanti alla pentola con il mestolo in mano), e altrettanto di seconda bollitura per fare asciugare la salsa. E scusate se è poco.

In più, vorrei farvi partecipi del sapore paradisiaco di questa salsa: non ha perso nulla della dolcezza e dell’aroma originari dei pomodori nati e cresciuti, ricchi e succosi, al sole di Calabria.

Devo dire che da quando ho questa apparecchiatura sto sperimentando tante ricette, e quello che più mi colpisce è proprio come questo sistema di cottura riesca a salvaguardare completamente tutte le caratteristiche di gusto, di aroma, di consistenza, degli alimenti.

Gli esperimenti continuano…

 

 

Mostarda di uva fragola e ciliegie – miracoli di Calabria

Il Servizio Cittadinanza delle Donne e Culture delle differenze/Centro Donna, il Centro Culturale Candiani del Comune di Venezia e l’Associazione culturale “Voci di carta”, hanno raccolto, nei primi mesi del 2015, una serie di racconti legati al cibo, e li hanno pubblicati in un libro dal titolo “Impiattiamo la vita”.

Oggi è arrivata la mia copia del libro.

Mi spetta perché, immodestamente, tra gli autori ci sono anch’io.

Non sono una scrittrice, ed il mio racconto è stato scritto velocemente e di getto, senza quasi pensarci, anche perché è scolpito nella mia mente, per averlo sentito narrare tante volte dalle “memorie storiche” della famiglia.

Spero di avere trasmesso tutto il mio grande amore per la Terra di Calabria, povera di mezzi, ma ricca di frutti; la Terra dove “si muore di povertà, ma non di fame”, perché i prodotti che altrove vengono coltivati in serra e venduti come beni preziosi, quaggiù si trovano lungo le strade, alla portata di chiunque: dalla cicoria agli asparagi, dalle susine ai fichi d’india, dalle castagne agli agrumi di ogni tipo. Senza dimenticare i freschi e gustosi abitanti di un mare ancora, in molti tratti, incontaminato e cristallino.

Il racconto (lo trovate subito dopo la ricetta) fa riferimento ad una ricetta che, come tutti i miracoli, accade solo in determinati luoghi, e solo per brevi periodi:

La mostarda di uva fragola e ciliegie di mamma Né.

Nata per caso e possibile solo nel Sud Italia, dove l’estate dura abbastanza a lungo da permettere di trovare, contemporaneamente, uva fragola e ciliegie, questa mostarda non richiede zucchero. Al posto della canonica senape si aggiunge il peperoncino. Si realizza anche con sola uva, oppure con i fichi. E’ prudente non attendere troppo a lungo per consumarla, ma si conserva comunque per 3/4 mesi.

Viene utilizzata in accompagnamento a carni dal sapore forte, come la selvaggina.

Ingredienti:

  • 1 kg. di uva fragola
  • 250 gr. di ciliegie
  • 1 mela verde
  • 5 chiodi di garofano
  • 1 peperoncino

Mettere l’uva e le ciliegie, ben lavate, in una pentola dai bordi alti e cuocere a fuoco vivo per una decina di minuti, fino a quando iniziano ad ammorbidirsi.

Passarle nel setaccio e rimettere il composto sul fuoco, aggiungendo la mela verde sbucciata e tagliata a pezzettini o, meglio ancora, frullata.

Asportare i semi dal peperoncino, chiuderlo in una garza insieme ai chiodi di garofano ed aggiungere al resto.

Cuocere a fuoco lento per 40/50 minuti: deve raggiungere la consistenza di una confettura.

Nel frattempo, sterilizzare i vasetti ed i coperchi facendoli bollire.

Riempire i vasetti con la mostarda bollente, chiuderli bene e farli raffreddare capovolti.

C’u culu ruttu e senza cirasa

Nel piccolo paesino della presila calabrese a ottobre era ancora piena estate. Già i primi grappoli d’uva, grossi e succosi, pendevano dagli intrecci dei vigneti e le prime clementine si sostituivano ai piccoli fiori bianchi, ma nel terreno di Ciccio il vecchio e maestoso ciliegio regalava ancora i suoi rossi e lucidi frutti. L’unico ciliegio del paese: una rarità, invidiato da tutti e guardato a vista dal proprietario che, tuttavia, in quel momento non c’era. Come resistere alla tentazione? Così, senza pensarci due volte, i due furfantelli erano entrati nella proprietà: Nicolino si era arrampicato e gettava a terra le ciliegie che il cugino Micuzzo raccoglieva nella maglietta. Proprio quando avevano ormai svuotato l’albero dalle sue ricchezze e Nicolino era saltato giù dal ramo più basso, era arrivato il legittimo proprietario, inferocito.   “Fuja Nicò, fuja!” “Corri, Nicola, corri!”  gridò  Micuzzo. Ma Nicola era più piccolo di lui, aveva solo cinque anni e le gambette corte, e per il contadino che lo inseguiva gridando “ladro, si ti pigliu t’ammazzu” fu uno scherzo acchiapparlo per la maglietta e strattonarlo, rifilandogli un sonoro scapaccione. Nel 1936 il telefono azzurro non esisteva ancora, i genitori erano ben felici quando qualcuno si sostituiva a loro nel ruolo di educatore e comunque Nicolino non si sarebbe mai sognato di protestare: sapeva bene di essere in torto, la sculacciata ci stava tutta, ma quelle ciliegie erano troppo appetitose per resistere, e poi lui ad arrampicarsi era più agile di un gatto! Nel frattempo Micuzzo, otto anni e gambe lunghe, si era dileguato con il maltolto. “Chi era l’altro? Era Micuzzo d’a timpa, vero? Dimmelo!” Ma Nicolino, sebbene piccolo, conosceva già l’importanza dell’omertà: non si parla, non si confessa, non si tradiscono gli amici. Così, non rispose e si lasciò trascinare, camminando tutto di traverso perché il contadino lo teneva saldamente per l’orecchio. Micuzzo, nel frattempo, era arrivato alla sua casa, affacciata sul pendio scosceso, la timpa da cui derivava il soprannome che lo distingueva dagli altri Micuzzi del paese. La madre stava pazientemente ripulendo gli acini della profumata uva fragola che poi gettava nel pentolone dove altra uva già bolliva, per preparare per la sua solita mostarda. “Ohi mà, ammuccia, ca Cicciu m’ammazza!” gridò  Micuzzu, rovesciandole in grembo le ciliegie: la mamma comprese in un attimo l’accaduto, prese le ciliegie e le versò nel pentolone, rimestando con la cucchiara di legno dal lungo manico. “Tu siediti, e continua a pulire!” Ciccio arrivò ansimando in quel momento, con il malcapitato Nicolino, che guardando Micuzzo strinse le labbra per fargli capire che lui, uomo d’onore, non aveva parlato.   Il contadino si trovò  davanti ad un tranquillo quadretto fa- miliare: il ragazzino, seduto sulla bassa sedia di legno, che puliva uva fragola e la madre che mescolava nella pentola un rosso intruglio che profumava non tanto di uva, o di fragole, quanto,  stranamente, di ciliegie. Il povero Ciccio restò perplesso ma, davanti ai fermi dinieghi della madre di Micuzzo e non avendo prove, fu costretto ad andarsene, per nulla convinto, a mani vuote. Ottenne una piccola vendetta con Nicolino, il quale, avendole buscate sonoramente dal padre, e senza aver assaggiato una sola ciliegia, nemmeno con il verme, restò, come nel famoso detto, “c’u culu ruttu e senza cirase”. Micuzzo prese una sonora cucchiarata sul didietro dalla madre, che, però, era pur sempre sua madre e gliele perdonava tutte. Mangiarono insieme i pochi frutti rimasti nelle tasche di Micuzzo, e dall’improvvisato miscuglio bollente che nascondeva l’ennesima marachella dell’irrequieto birbante, nacque la mitica confettura di uva e ciliegie di mamma Né.

Zenzero candito e le figuracce online

Candire lo zenzero è stata una necessità.

Quando ho pubblicato la ricetta della marmellata di agrumi allo zenzero, una seguace, evidentemente molto fedele, mi ha fatto notare che il pezzetto di zenzero fotografato era stranamente somigliante a quello di altre foto. All’immediato stupore per l’acuto spirito di osservazione di Concetta (‘a Concé, magari un quiz televisivo, eh?) ho dovuto riconoscere che, effettivamente, non è che si somiglino: è sempre lo stesso. Utilizzo lo zenzero fresco per la ricetta e tiro fuori dal congelatore all’occorrenza, sempre lo stesso pezzo: fotografo e rimetto dentro. Sono due, in realtà; interscambiabili, o utilizzati insieme. Uno è più anonimo, ma quello biforcuto è stato sgamato, così mi toccherà sostituirlo.

Purtroppo, non ne ho trovato sfuso, forse non è stagione, non saprei, non sono molto ferrata sull’argomento. L’unica confezione disponibile era da una decina di pezzi e ad un prezzo ragionevole, per cui l’ho preso. Due pezzi sono andati a sostituire i fotomodelli, e gli altri, in parte li ho canditi. Non l’avessi mai fatto. Dato il noto effetto antinausea dello zenzero, credo che non avrò problemi di stomaco per molti anni. Però, mi pizzicano pure gli alluci.

Ingredienti:

  • zenzero
  • zucchero
  • acqua

Sembra facile? Lo è, ma anche lunghetto. Però ne vale la pena.

Iniziate con il pulire bene lo zenzero (ottimo il pelapatate), per poi tagliarlo a cubetti più o meno uguali.

A questo punto, potete scegliere il grado di “pizzicorino”: se lo amate più piccante, fatelo cuocere, appena coperto di acqua, in pentola a pressione per 15 minuti dal fischio. Altrimenti portatelo a bollore in pentola scoperta, per 10 minuti, poi spegnete, sostituite l’acqua e ripetete il procedimento altre due/tre volte, fino ad ammorbidirlo.

Scolate bene lo zenzero e pesatelo. Unite pari peso di zucchero, e 3/4 cucchiai di acqua, e riportate a bollore.

Lasciate asciugare l’acqua, poi assaggiate: eventualmente aggiungete altra acqua ed altro zucchero e proseguite la cottura fino a raggiungere il risultato di vostro gradimento.

Fate scolare lo zenzero candito su una gratella, poi passatelo nello zucchero semolato. Si può conservare a lungo in un contenitore ermetico. Almeno, così dicono. Io l’ho già finito.

Se poi volete farvi davvero TANTO male, passatelo nel cioccolato fondente sciolto a bagnomaria con pochissimo burro.Zenzero candito 1

…e QUI trovate un altro procedimento per lo zenzero candito.

Se siete sopravvissuti a questa ricetta, venite a trovarmi anche sulla mia pagina Facebook: EatParadeBlog

 

Marmellata di agrumi e zenzero – Calabria di profumi

Una marmellata di agrumi ha sempre una marcia in più.

Tanto per cominciare, non viene due volte uguale. Ogni inverno, puntualmente, mi arrivano le richieste: “ma quella marmellata dell’anno scorso, perché non la rifai?” “sai, vorrei tanto un vasetto di quella marmellata dell’anno scorso…”. Bene, non illudetevi. La marmellata dell’anno scorso non esiste più, non esisterà più, fatevene una ragione. Potrete avere la marmellata di quest’anno, e magari più di una versione, dipende da quante volte la preparerò. Sarà sempre diversa. L’arancia sarà più o meno grande, il pompelmo più o meno aspro, lo zenzero più o meno pungente, il bergamotto più o meno profumato. Ma sarà comunque squisita, con gli inconfondibili sapori ed aromi che la mia amatissima Calabria ci regala. Si vede che amo la mia Terra? Se ne volete un pezzetto anche voi, qui c’è la ricetta:

  • due o tre arance tarocco (circa 600 gr. pulite)
  • un pompelmo (300 gr.)
  • un bergamotto (100 gr.)
  • un pezzetto di zenzero
  • 800 gr. di zucchero

Pelate al vivo gli agrumi, conservando le bucce delle arance, senza la parte bianca.

Tagliate a striscioline sottili le bucce delle arance e mettetele a bagno in acqua fredda.

Tagliate a pezzi la polpa degli agrumi e mettetela in una pentola dai bordi alti.

Aggiungete lo zucchero e portate a bollore.

Spegnete il fuoco, aggiungete lo zenzero grattugiato e mettete a riposare in luogo fresco per almeno 12 ore.

Nel frattempo, fate bollire le bucce di arancia tagliuzzate in acqua leggermente zuccherata. Appena prendono l’ebollizione spegnete e lasciatele raffreddare. Ripetete il procedimento altre 3/4 volte.

Mettete le bucce di arancia nella pentola insieme al resto, riportate a bollore e lasciate cuocere per un’ora circa, asportando con un colino la schiuma che si forma in superficie.

Intanto fate bollire i vasetti con relativi coperchi per una ventina di minuti.

Controllate la densità della marmellata depositandone un poco su un piattino inclinato. Se scende a fatica, è pronta.

Versate la marmellata ancora bollente nei vasetti (attenti a non scottarvi), chiudeteli bene e capovolgeteli. Quando saranno freddi potrete rigirarli e conservarli; nel frattempo si sarà formato il sottovuoto.

Tarocchi e pompelmi hanno un gusto dolce-amaro delizioso, ma il valore aggiunto dello zenzero e, soprattutto, l’aroma del bergamotto, sono ineguagliabili. E se non trovate il bergamotto? Che posso dirvi: la marmellata di agrumi non sarà la stessa cosa. Questa sfera d’oro profumato l’abbiamo solo qui.

 

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Crema di mandorle dolci

La crema di mandorle dolci, semplicissima e velocissima da preparare, ha un unico, insormontabile difetto: finisce subito! Basta il suo inconfondibile profumo ad attirare irresistibilmente chiunque si trovi a portata. Se, però, riuscite a sottrarne e nasconderne una parte, resistendo voi stessi all’impulso di deliziarvi con questa meraviglia, sappiate che sarà un’ottima farcitura per biscotti, per ciambelloni, per torte. Spalmata su una fetta di pane o dentro una brioche diventerà un’appetitosa merenda. Alla sera, un cucchiaino gustato direttamente dal barattolo, vi garantirà dolci sogni. Insomma, è imperdibile. E poi, bastano solo due ingredienti!

  • 200 gr. di mandorle dolci (peso dopo la pulitura)
  • da 40 a 100 gr. di zucchero a velo vanigliato

Sgusciate le mandorle e mettetele in un tegame con acqua.

Portate a bollore e lasciate cuocere per un quarto d’ora.

Scolate e lasciate intiepidire, poi spellatele: la pellicina esterna verrà via con estrema facilità.

Fatele tostare in forno a 170° per 10 minuti.

Passatele nel mixer. Questa operazione richiede un po’ di pazienza: all’inizio dovrete fermarvi spesso e raccogliere con una spatola le mandorle semitritate per riportarle al centro.

Successivamente, man mano che l’apparecchio si riscalda, le mandorle inizieranno a rilasciare il loro olio: continuate a tritare fino a quando sarà tutto ben amalgamato e con una consistenza pastosa.

Per eliminare il più possibile le granulosità, potete setacciarla con il passaverdure a fori piccoli.

Solo a questo punto iniziate ad amalgamare lo zucchero a velo un po’ per volta, mescolando con un cucchiaio ed… assaggiando. E’ l’unico modo per raggiungere esattamente il livello di dolcezza desiderato. Io non amo il “molto dolce” e ne ho messo circa 40 grammi.

Se, aggiungendo molto zucchero, la crema dovesse diventare troppo soda, potete allungare con poco latte intiepidito.

Semplice ed essenziale, la crema di mandorle dolci può servire da base per creme più elaborate, con l’aggiunta di cioccolato bianco sciolto, di mandorle amare, di cacao, di liquore.

Oggi la crema di mandorle dolci è al primo posto in EatParade!