Treccia brioche con lievito madre ripiena di crema alla nocciola

Treccia brioche dolce

A 7 anni andai a vivere nell’appartamento dove ho abitato fino al matrimonio. Al piano di sopra viveva quella che da allora è la mia amica del cuore, la sorella che non ho, la certezza dell’affetto assoluto ed indiscusso.

Sofia ha un fratello, Francesco, di poco più grande di noi, che studiava la chitarra e tentò di insegnarmi a strimpellare. Arrivai ad intonare, su una corda sola, “Storia di due innamorati” di Albano e Romina e “Samba pa ti”, che mi faceva sentire tanto Carlotta Santanna. Continua a leggere “Treccia brioche con lievito madre ripiena di crema alla nocciola”

Gnocco fritto con esubero di lievito madre

Gnocco fritto

IL gnocco fritto in Emilia si sa, è un’istituzione e guai a modificarlo.

Allora, magari, cambiamogli nome: chiamiamolo rettangolo gonfiato o nastrino in olio: sempre buono è.

Oggi lo facciamo con l’esubero di lievito madre. Però, prima, chiariamo cosa si intende per esubero. Continua a leggere “Gnocco fritto con esubero di lievito madre”

Le donne del pane. Io tra di loro.

Le donne del pane

Le donne del pane” è il titolo di un libro. Che non è un libro, ma un ricordo, un’emozione, un insegnamento, qualcosa da tenere stretto e caro perché trasmette calore, affetto, sapienza, umiltà, dolcezza.

L’ha scritto una persona la cui amicizia mi onora e mi riempie di orgoglio.

Ora, sapete bene che sono piuttosto autoironica, strafottente, leggera nelle mie esternazioni e probabilmente gelosa delle emozioni profonde. Però stavolta mi sento di esternare un sentimento intimo perché credo che vada conosciuto e condiviso: vale la pena di viverlo e lo consiglio a tutti.

Il libro è stato scritto da Pina Oliveti. Pina è la titolare di un antico panificio di Rogliano, paesino vicino Cosenza, dove utilizza, coccola e cura, con l’aiuto del marito , ricette antiche tramandate da generazioni.

le donne del pane
Panificio Cuti di Rogliano

Da poco ha inaugurato la nuova struttura. Bene, la struttura sarà nuova, ma i metodi sono sempre quelli, antichi, che garantiscono la genuinità e il rispetto della tradizione. Lievito madre, forni a legna, impasti a mano. Una meraviglia, credetemi.

Lei è presente in tutte le occasioni per parlare di questa sapienza antica, e ha raccolto nel suo libro le storie de “le donne del pane”che, come lei e prima di lei, compivano questo rito antico di creazione e condivisione.

C’è molto da imparare, da Pina e dal suo libro. Io ho avuto il piacere e l’onore di presentarlo questa estate nel corso della rassegna “Incontri silani” e mi sono letteralmente innamorata delle figure di donna descritte in questo libro.

Le donne del pane
Incontri Silani – Presentazione libro

Nella nuova struttura Pina ha voluto creare un museo del pane e delle attrezzature, e un percorso conoscitivo per le scolaresche e non solo. Oltre a laboratori, zone attrezzate per dimostrazioni e cooking show e… insomma, abbiamo progetti da realizzare e idee da sviluppare insieme nella sua nuova location, per cui… stay tuned!

Pane per bruschette

– 150 g di esubero di lievito madre
– 150 g di semola rimacinata di grano duro
– 150 g di farina 0
– 100 g di farina integrale
– 270 ml di acqua tiepida
– un cucchiaino di sale
– un cucchiaino di malto d’orzo

Questo pane lo realizzo espressamente per le bruschette. E’ impastato con il lievito madre non rinfrescato, quindi meno attivo, per cui il risultato è con alveoli piccoli e compatti. Le fette di questo pane sono ideali per essere poi leggermente tostate in forno ed utilizzate per gustosi antipasti o merende appetitose, spalmate di salse e paté, oppure coperte da una dadolata di profumati pomodorini al basilico.

Sciogliete il lievito madre nell’acqua con il malto d’orzo. Lasciate riposare per mezz’ora circa.

Aggiungete le farine ben setacciate e il sale. Lasciate riposare l’impasto per 20/30 minuti. Schiacciatelo con le mani e date un giro di pieghe prendendo i lembi esterni e portandoli verso l’interno. Giratelo sottosopra e formate una palla. Ripetete altre due volte a intervalli di 20/30 minuti.

Infornate a 190° statico, dopo dieci minuti abbassate a 180° e lasciate cuocere per 40 minuti. “Bussate” con le nocche sul fondo: se suona vuoto, proprio come quando si bussa ad una porta, il pane è pronto. La differenza è che nessuno vi risponderà “avanti!”, (sono siema, lo so) ma il risultato sarà ottimale.

Lasciate raffreddare, poi affettate e tostate in forno, magari dopo avere strofinato le fette con uno spicchio di aglio, che ci sta a pennello.

Il bellissimo libro “Le donne del pane” lo potete anche scaricare in formato ebook, seguendo QUESTO LINK.

Grissini multigusto con lievito madre

Grissini multigusto, da sgranocchiare a volontà e da creare con fantasia.

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Oggi il Calendario del Cibo Italiano dedica una giornata proprio ai grissini, così vi proponiamo la nostra versione.

Attenzione, però: i grissini multigusto creano dipendenza.

Questo non dispiacerà certamente ai cultori del lievito madre, che si disperano ogni qual volta sono costretti a gettarne via l’esubero. Continua a leggere “Grissini multigusto con lievito madre”

Cullurielli

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I cullurielli, ciambelle di patate lievitate e fritte, buonissime, si preparavano in Calabria, tradizionalmente, l’8 dicembre, ricorrenza dell’Immacolata Concezione.

Sono, tuttavia, talmente gustosi da far parte ormai di quell’appetitoso patrimonio di cibo da strada, ricordato anche dal Calendario del Cibo Italiano, richiesto ed apprezzato da Nord a Sud.

Il vero nome cosentino sarebbe, in realtà, “cuddrurieddri”, da pronunciare con la punta della lingua contro il palato e le labbra semichiuse, in un dialetto particolare e difficilissimo. Continua a leggere “Cullurielli”

Brioche del pasticciere e confettiere moderno (1907 !)

Una brioche del secolo scorso per colazione non capita tutti i giorni.

Ma si deve iniziare la giornata con una coccola, per cui siamo sempre alla ricerca di nuove squisitezze da proporre sul vassoio, vicino a tazza e zuccheriera. La brioche non può mancare.

Ne avrò provate millemila e non ne ho mai abbastanza.

Ho anche millemila libri di cucina, per cui non mancano certo le fonti di ispirazione.

Uno di questi libri è “La cucina bresciana” di Marino Marini, che mi è stato regalato dalla dolcissima Eva Zito

Ma questa brioche non l’ho presa da quel libro. Io sono molto più “tortuosa” di così. Leggendo la ricetta del Bussolà di Brescia, ho trovato un’annotazione su Giuseppe Ciocca, grande pasticcere del novecento.

Così mi sono procurata la ristampa anastatica del suo libro “Il pasticciere e confettiere moderno” del 1907 e da lì ho copiato questa brioche del secolo scorso.

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Una curiosità: il Ciocca definisce questa brioche “il panettone francese, solo più piccolo“.

Piccola modifica: la ricetta originale annovera tra gli ingredienti il lievito di birra. Io ho usato lievito madre e tra parentesi trovate le mie modifiche.

Il resto è copiato dal libro. E. se posso permettermi un consiglio, compratelo. Lo divorerete in un lampo!

BRIOCHE DEL PASTICCIERE E CONFETTIERE MODERNO

– Farina 500 g (Manitoba 400 g)
– Burro 250 g
– Zucchero 50 g
– 6 uova
– un pizzico di sale
– Lievito di birra 20 g (150 g di lievito madre rinfrescato)

Sciogliere in un po’ di latte o acqua il lievito di birra, aggiungere un terzo della farina e formare una pasta un po’ sostenuta.
Lasciare lievitare per circa un’ora. (Se utilizzate il lievito madre saltate questo passaggio).
Al resto della farina intanto unirete lo zucchero, il sale, le uova e acqua o latte quanto basta per formare un impasto morbido e non appiccicoso, senza lavorarlo troppo (io ho aggiunto 30/40 g di latte).
Volendo, potete aggiungere all’impasto 50 g di gocce di cioccolato.
Mettete in una terrina coperta da un canovaccio e lasciate lievitare in luogo tiepido al riparo da correnti per 6/8 ore, fino al raddoppio. Con il lievito di birra ci vorrà meno tempo.
Ogni due ore circa sgonfiate l’impasto, riformate la palla e rimettete a lievitare.
Dividete l’impasto in 12 pezzi (anche di più se le preferite più piccole) e date la forma voluta: arrotolate a croissant, rotonde, allungate, a treccia.
Lasciate nuovamente lievitare sulla teglia coperta da carta forno.
Spennellate con uovo sbattuto e cospargete con zucchero in granella.
Infornate a 200° per 15 minuti circa.

Trovate la brioche del pasticciere e altre ricette anche su Facebook: EatParadeBlog

Carbone vegetale e pane: si o no?

Del carbone vegetale, ovviamente, conoscevo l’esistenza, sotto forma di compresse anti gonfiori post-prandiali e altre simili piacevolezze, ma non avrei mai pensato di trovarlo negli impasti.

Invece qualcuno ha avuto questa idea e si è immediatamente scatenato il putiferio: “bello” “buono” “fa bene” “fa malissimo” “originale” “pessimo” “è veleno”.

All’inizio l’ho preso con un certo distacco: l’ho visto più che altro sotto un aspetto decorativo, magari per un buffet, vicino ad un pane alla zucca, o alla barbabietola. Divertente, nient’altro.

Poi ho cominciato anch’io a pormi delle domande, per rispetto nei confronti delle persone che mangiano ciò che io preparo. Ecco il risultato.

Venduto come integratore alimentare, l’ho trovato in commercio sempre unito ad altri componenti: argilla, ad esempio, o cumino. Deriva dal legno di pioppo, betulla e simili, attraverso un processo termico in assenza di ossigeno; giusto per precisare che NON è legno bruciato, NON ha nulla a che vedere con le sostanze cancerogene (v. acrilamide) che si formano quando si brucia la bistecca. (Che poi non capisco perché non chiudano le griglierie e non vietino il barbecue di ferragosto, ma questo è un altro argomento…)

Il carbone vegetale, anzi, dovrebbe essere benefico: contrastare gonfiori, aerofagia, flatulenze e altri divertenti effetti collaterali di una difettosa digestione.

Ma nell’impasto, alla fine, fa bene o male?

Ho cercato qualche ricetta di pane nero e la dose si aggira sempre intorno ai 6/7 g per ogni chilo di pane, suppergiù.

Nella confezione che ho a portata di mano ci sono 75 compresse ed il peso netto è 37,5 g. Ergo, ogni compressa pesa 0,5 g e per arrivare a 6 g mi servono 12 compresse.

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La dose giornaliera consigliata è di 3 compresse. Consumando un chilo di pane in quattro giorni (!) non supererei in ogni caso la dose prevista.

Premesso che con tutta la mia buona volontà non riuscirei in ogni caso a mangiare più di 150 g di pane al giorno, non vedo come una simile dose potrebbe nuocermi. Oltre tutto, non è che si mangi tutti i giorni.

Sfatiamo pure la diceria che sia velenoso, cancerogeno, o nocivo. Lo è solo per gli Americani, che lo hanno vietato, ma poi si strafocano di bistecche alla brace e salsicce arrostite al punto da diventare nere. No, non sono molto attendibili.

In particolare, se si utilizza quello in polvere specifico per uso alimentare, non contiene nemmeno altri componenti, come avviene invece nelle compresse normalmente in commercio.

Classificato come colorante, con la sigla E153, è permesso purché non venga presentato come elemento medicinale, benefico o curativo, ma come semplice colorante. Ed il pane che lo contiene non può essere definito “pane”, ma semplicemente “prodotto di panetteria fine”. Forse per giustificare i prezzi esorbitanti a cui viene venduto?

Allora fa bene? Diciamo semplicemente che in giusta misura, come tutte le cose, non fa male. Se si hanno problemi digestivi, tuttavia, non credo proprio che mangiare 250 g di pane al giorno possa risolverli; semmai, il contrario.

Meglio quindi ridurre la dose di pane e carboidrati e, se proprio si vuole provare il carbone vegetale, prenderlo a parte sotto forma di compresse, solo quando serve.

Mangiamo integrale, che è meglio, e il pane al carbone vegetale teniamolo come elemento decorativo, per rendere originale un buffet o stupire un ospite.

Pane nero al carbone vegetale.

Volendo realizzare un pane piuttosto rustico, ho cercato la ricetta da un’artista della panificazione quale Rita Mighela del blog Pane e gianduia. Copio spudoratamente la sua ricetta, certa che non se ne avrà a male.

Ingredienti

  • 300 gr farina di grano tenero di tipo 1
  •  190 gr acqua fredda
  •  80 gr lievito madre rinfrescato da 4 ore
  •  1 cucchiaino malto d’orzo
  •  1 cucchiaino di sale
  • 3 g di carbone vegetale in polvere

Procedimento:

Sciogliere il  lievito madre in 100 g di acqua nella ciotola della planetaria.

Setacciarvi la farina con il carbone vegetale e aggiungere altri 80 g di acqua e il malto d’orzo.
Impastare con la velocità minima per circa 15 minuti, quindi verificare che l’impasto sia incordato tirandone un lembo verso l’alto e controllando che non si spezzi.

Aggiungere il sale inumidito dai 10 gr di acqua rimanente e lavorare l’impasto per altri 5 minuti.
Spegnere la planetaria, coprire la ciotola con pellicola e far riposare per 30 minuti.
Trascorso questo tempo, trasferire l’impasto su un piano antiaderente e iniziare a fare le pieghe.
Per evitare di incorporare troppa farina e alterare la percentuale di idratazione, avere l’accortezza di non infarinare il piano di lavoro, almeno per i primi 2 giri di pieghe.
Per tale motivo evitare di effettuare questo procedimento sulla spianatoia di legno ed utilizzare un tagliere in polipropilene, una tovaglietta in plastica, etc.
Posare quindi l’impasto sul piano, allargare bene con le mani leggermente umide e formare un quadrato, fare le pieghe a portafogli (pieghe a 3, o a libro). Ad ogni piega, premere leggermente con le dita.

Coprire quindi con una ciotola rovesciata e un panno e attendere 30 minuti.
Trascorsi i 30 minuti, ripetere le pieghe, sempre evitando di aggiungere farina, coprire di nuovo e puntare l’orologio a 60 minuti.
Trascorso questo tempo, infarinare un po’ il piano, stendere la pasta con le mani e formare ancora un quadrato, iniziare a formare il pane arrotolando un lato per pochi cm e premendo leggermente il bordo con le dita, arrotolare ancora e premere, continuare cosi fino a formare il pane e lasciare i bordi sotto.

Foderare un cestino  con un canovaccio, spolverizzare tanta farina sul fondo e sui bordi, disporvi dentro il pane, spolverizzare anche la superficie con un po di farina.
Coprire rialzando i bordi del canovaccio e lasciando lo spazio necessario per la crescita.

Attendere 30 minuti, poi mettere a lievitare in frigorifero per circa 8 ore
Riepilogando:
1) Impasto + 30 minuti di riposo
2) Pieghe + 30 minuti di riposo
3) Pieghe + 60 minuti di riposo
4) Formatura + 30 minuti di riposo in cestino e a temperatura ambiente
5) Lievitazione in frigo per circa 8 ore.
Trascorso questo tempo, togliere il cestino con il pane dal frigorifero e far acclimatare per circa 2 ore, quindi mettere a lievitare in forno spento con luce accesa ( se in casa è freddo) per altre 3 ore circa, comunque fino a quando il pane avrà raddoppiato il suo volume.
Scattare una foto, per avere presente la situazione di partenza, è sempre molto utile.
Quando il pane sarà lievitato, toglierlo dal cesto afferrando i bordi del canovaccio, posarlo sul tavolo, prenderlo con delicatezza e trasferirlo su un piano.

Praticare 3 tagli obliqui profondi meno di 1 cm, tenendo la lametta di sbieco.
Naturalmente prima della cottura avremo acceso il forno a 220°. Mettere qualche cubetto di ghiaccio sul fondo del forno e creare vapore, infornare il pane e attendere 15 minuti, poi abbassare a 180° e cuocere ancora per circa 35 minuti.
Creare vapore è importante nei primi minuti di cottura perché la crosta non si formi subito e il pane abbia il tempo di espandersi.
Per verificare la cottura, è molto utile battere sul fondo del pane con un mestolo di legno, se il rumore è sordo, il pane è cotto.
A questo punto lasciare lo sportello aperto a fessura per qualche minuto, perché diventi dorato e croccante, quindi sfornare e mettere a freddare su una gratella.

Arte e cibo: pane e vino per le ultime cene.

L’arte e il cibo: un argomento difficile e complesso, ricco di sfaccettature ed interpretazioni.

Strettamente legati tra di loro: in fondo l’arte è rappresentazione di vita, e quale simbologia è attinente alla vita più del cibo?

Il cibo nell’arte è il tema del giorno, sul calendario del cibo italiano di AIFB.

 

L’Ambasciatrice è Maria Teresa Cutrone ed io mi sono talmente appassionata all’argomento, nonostante la mia scarsissima conoscenza artistica, da voler contribuire con qualche riga su uno dei soggetti più ritratti nei grandi dipinti, in tutti i tempi: l’Ultima Cena.

Ovviamente immancabili, in queste raffigurazioni, il pane ed il vino, citati da tutti e quattro gli Evangelisti, mentre non si ha notizia di quali altri piatti fossero serviti nell’occasione.

In accordo alle usanze della Pasqua ebraica, in alcuni dipinti è raffigurato l’agnello, come nella sontuosa mensa dipinta dal Tintoretto e conservata a Venezia, in San Giorgio Maggiore. Oltre ai già citati alimenti, compaiono anche frutta, minestra di verdura, manna. L’agnello si ritrova anche nelle opere dei meno noti fratelli Cantagallina e Jacopo Bassano.

Jacopo Bassano
Jacopo Bassano

Fratelli Cantagallina
Fratelli Cantagallina

Tintoretto
Tintoretto

In altre occasioni l’agnello è sostituito dal pesce, vuoi perché il quadro è commissionato da un convento domenicano, come nel caso dell’Ultima Cena di Leonardo presente in Santa Maria delle Grazie a Milano, per cui il pesce, alimento penitenziale, è più consono alla dottrina; vuoi per la simbologia che accomuna da sempre il Figlio di Dio al pesce.

Leonardo da Vinci
Leonardo da Vinci

Due grossi pesci sono in primo piano nel bellissimo mosaico in Sant’Apollinare Nuovo, a Ravenna e pesce viene servito alla tavola dipinta da Daniele Crespi.

Daniele Crespi
Daniele Crespi

Mosaico di Sant'Apollinare
Mosaico di Sant’Apollinare

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma, tornando ai temi fondamentali di questo articolo un po’ fuori dai miei soliti schemi, vorrei rientrare in una forma di arte che mi è più familiare, ossia la cucina. Per cui propongo una ricetta che mi sembra calzi a pennello in questa giornata: il pane al vino. Per prepararlo ho preso ispirazione, con qualche modifica, dal Beaujolais Bread di Lionel Vatinet, dal suo libro “A passion for bread”.

Ingredienti:

  • 355 g di farina 0
  • 150 g di lievito madre rinfrescato e attivo, idratato al 50%
  • 35 g di semi di lino
  • 7 g di sale
  • 20 g di malto d’orzo
  • 320 g di vino Cirò rosso
  • 1 cucchiaino di rosmarino tritato finemente

La ricetta originale prevedeva l’uso di lievito di birra, di vino Beaujolais (un po’ troppo costoso) e l’aggiunta di salame a pezzetti, chi io ho omesso.

Procedimento:

Sciogliere il lievito madre in metà vino, unendo il malto d’orzo.

Riunire in una ciotola la farina con il sale e i semi di lino, poi aggiungere il lievito madre sciolto e, poco alla volta, il resto del vino.

Potrebbe non essere necessario utilizzare tutto il vino: il composto deve comunque risultare molto morbido, e leggermente appiccicoso.

Trasferire l’impasto sulla spianatoia leggermente infarinata e lavorarlo per dieci minuti almeno, formando pieghe del primo tipo (si prendono i lembi esterni dell’impasto e si ripiegano verso il centro) aiutandovi all’inizio con un tarocco.

Non aggiungete farina.

Raccogliere l’impasto a palla e metterlo a lievitare coperto in un posto tiepido (l’ideale è il forno con la lucina accesa).

Lasciare riposare per un’ora, poi ripetere le pieghe e rimettere a lievitare per un’altra ora.

Ripetere una terza volta il procedimento e lasciare lievitare per altre due ore.

Stendere l’impasto, cospargerlo con il rosmarino, avvolgerlo più volte per amalgamare bene il tutto, poi stenderlo nuovamente e ricavarne il numero di pezzi desiderato. Potete farne palline da assemblare tipo Danubio, oppure pagnotte e filoni più grossi, da affettare.

Lasciate nuovamente riposare i pezzi formati per un’ora e mezza, poi cuocete a 200° per mezz’ora circa, i primi dieci minuti nella parte bassa del forno, con una teglia sistemata sul ripiano superiore, a fare da barriera, poi togliete la teglia e spostate il pane nel ripiano superiore. Ovviamente dipende dalla resa del forno e dalla grandezza delle pezzature.

Pane al vino (1)