Pane cacio e pepe – per sentirlo vicino vicino

pane cacio e pepe

Pane cacio e pepe: dichiaratamente romano, che più romano non si può. Perchè non si vive di sola pasta

Il due settembre, il Calendario del Cibo Italiano rende omaggio alla pasta cacio e pepe, e a settembre sono giustappunto dodici anni da quando il mio unicogenito si è spostato di quattrocento e spiccioli chilometri più in su, acquisendo in meno di un mese l’inflessione dialettale romanesca e resettando all’istante le sue origine sudiste. Continua a leggere “Pane cacio e pepe – per sentirlo vicino vicino”

Pane naan in padella – dalla terra promessa

Premessa: il pane naan, in realtà, sarebbe quello cotto nel tandoori, il tipico forno d’argilla a cono rovesciato.

La versione cotta su piastra rovente, dovrebbe essere il “roti”, spesso non lievitato e preparato con una farina semintegrale. Noi, per non sbagliare, facciamo una via di mezzo.

Ca-naan, la Terra Promessa, era il paese dei Cananei, gran panettieri. Originariamente prodotto con lievito madre, oggi il pane naan viene realizzato anche con lievito in cubetti o bustine. Comunissimo nel sud dell’Asia ed in Medio Oriente, questo tipo di pane viene spesso arricchito con l’aggiunta di yogurt o latte di capra. Veloce da preparare, si presta a diverse farciture, fredde o calde.

Eccovi gli ingredienti:

  • 300 gr di farina W260 Garofalo
  • 12 gr. di lievito di birra
  • un pizzico di sale
  • un vasetto di yogurt bianco da 125 gr.
  • 30 ml. di olio evo
  • poca acqua tiepida

Sciogliete il lievito in poca acqua tiepida.

Setacciate la farina ed impastate con lo yogurt ed il lievito sciolto.

Aggiungete il sale ed in ultimo l’olio.

L’impasto dovrà essere elastico e non appiccicoso.

Lasciatelo lievitare, coperto da uno strofinaccio, per un paio d’ore.

Suddividete l’impasto in sei pezzi e schiacciateli con il mattarello.

Arroventate una piastra in ferro (tipo il testo romagnolo) o una padella antiaderente, e cuocetevi il pane naan, due/tre minuti per parte.

Farcite, appena intiepidito, a piacere.

Panini per hot dog

Questi panini per hot dog li preparo, da anni, con una ricetta delle Simili, dal libro “Pane e roba dolce”.

Li trovo talmente buoni e soffici, che non ho mai pensato di provare altre ricette. Li faccio spesso, e non solo per gli hot dog, anche perché si possono congelare dopo cotti e lasciare semplicemente scongelare a temperatura ambiente, senza nemmeno scaldarli.

Rispetto alla ricetta originale, ho diminuito la proporzione di lievito, e dimezzato il resto degli ingredienti.

Ecco dosi e procedimento:

  • 150 gr. di farina manitoba,
  • 350 gr. di farina 00,
  • 250 ml. di acqua,
  • 15 gr. di lievito di birra,
  • 75 gr. di olio evo,
  • 40 gr. di zucchero,
  • 7 gr. di sale

Preparate il lievitino con la manitoba ed il lievito sciolto in 90 ml. di acqua.

Coprite la ciotola ed attendete il raddoppio (un’ora circa).

Impastate gli altri ingredienti ed aggiungete per ultimo il lievitino, battendo energicamente, per 10-12 minuti. Deve risultare un impasto tenero, ma non appiccicoso.

Formate una palla, coprite e lasciate riposare per un paio d’ore.

Senza lavorare, stendete l’impasto e formate un rotolo che taglierete in 10/12 pezzi.

Arrotolate ogni pezzo allungandolo a formare un filoncino.

Spennellate i panini per hot dog con uovo sbattuto ed infornateli, quando saranno più che raddoppiati, a 210°/220° per 10/12 minuti. La parte superiore deve risultare ben dorata, mentre tutto attorno devono rimanere bianchi.

Farciteli con wurstel grigliati ed insaporiteli con salsa ketchup fatta in casa: è un suggerimento da EatParade con gusto!

 

 

I lieviti

Studiando i lieviti con l’aiuto del mio coinquilino a vita, detto il Doc che, essendo veterinario, ha buone conoscenze di chimica, ho scoperto cose mOOOOlto interessanti, e ne ho tratto le mie conclusioni.

Giuste o sbagliate che siano, le condivido con chi legge.

Le nozioni basilari, riassunte e tradotte in maniera talmente elementare che anche io le ho capite (!) sono pressappoco queste:

I lieviti non sono altro che funghi, che in assenza di ossigeno convertono gli zuccheri in anidride carbonica ed etanolo, per respirare. Ecco perché si parla di “nutrire” il lievito madre con i rinfreschi.

Il più comune ed usato, è il Saccharomyces cerevisiae, ossia il lievito di birra. Ne esistono altri tipi, come l’uvarum, o il bayanus. Il Cerevisiae viene prodotto in coltura concentrata, per l’industria alimentare, e l’utilizzo continuativo può causare intolleranza.

Nel lievito naturale, oltre al lievito di birra, è presente una fermentazione lattica, che si forma spontaneamente nella miscela di acqua e farina. Questa fermentazione produce acido lattico (ecco il perché del leggero aroma acido del lievito naturale, chiamato, per l’appunto, anche pasta acida).

La bassa concentrazione di saccaromiceti, e la diversificazione, rendono il LM utilizzabili anche dagli intolleranti.

Nutrire il lievito madre aggiungendo al rinfresco base, di volta in volta, diversi tipi di farine, succo d’uva o di mela, yogurth o miele, fa sviluppare i diversi tipi di lievito, che renderanno la pasta madre sempre più forte.

La vita media delle spore del lievito è di tre giorni, a temperatura ambiente. Ecco perché va rinfrescato spesso. A bassa temperatura il ciclo vitale rallenta, ma una temperatura troppo bassa può uccidere il lievito.

Una lievitazione troppo prolungata fa sì che si sviluppi un eccesso di acido lattico, ed anche acido acetico, per cui il pane avrà un cattivo sapore.

E la mia love story con il LM continua…

Una lunga storia d’amore

Il mio interesse per il lievito madre è nato circa dieci anni fa, è una lunga storia d’amore.

Se ne parlava ogni tanto nei forum di cucina, si facevano i primi tentativi per produrlo autonomamente, si iniziava a studiarne le proprietà, gli ingredienti, le cure necessarie, i trucchi e le soluzioni… insomma, ERA DI MODA.

Mi riuscì al primo tentativo, senza particolari accorgimenti. Mescolai un po’ di farina 00 con acqua e poco succo d’uva, e dopo un paio di giorni era tutto bolle. Rinfrescavo ogni tanto, occhiometricamente,  lo usavo a sentimento, sempre con la stessa ricetta, ed ottenevo un pane discreto, che durava a lungo.

Poi ci fu l’incontro con le sorelle Simili. Una svolta. Ma quante cose si potevano fare con quel benedetto LM? E la passione crebbe…  Unii il mio lievito al sacro cimelio regalatomi da loro, e da allora non mi sono più tolta la scimmia dalla spalla.

Ho letto di tutto, ho provato di tutto, ma sono certa che c’è ancora un mondo da scoprire. Intanto, ripescando tra gli appunti, ho messo insieme un po’ di materiale che posterò nel blog, anche perché almeno sarà in ordine…