I tortellini di Bologna, si sa, sono un’istituzione, più che un piatto.
Sembra che risalgano addirittura al 1100, ma non si sa esattamente quanta sia verità e quanta leggenda.
Di certo è che nel 1974 è stata depositata, con atto notarile, una ricetta dalla Dotta Confraternita del Tortellino.

Potete leggerla cliccando sul link, ma è comunque la classica che più o meno tutti conosciamo: un uovo ogni etto di farina, un ripieno a base di carne di maiale, prosciutto crudo, mortadella, uovo, parmigiano, noce moscata.
Fondamentali sono: il brodo, rigorosamente di gallina, e le dimensioni, un cucchiaio da tavola ne deve contenere 7.
E adesso, parliamo di esecuzioni più terra-terra, ovvero come li faccio io.
Premetto che ho un tristissimo ricordo infantile dei tortellini post-natalizi, che erano una specie di purga punitiva. Brodo di dado e tortellini del supermercato, una roba da incubo.
Li ho odiati a lungo, poi ho deciso di riconciliarmi e li ho rifatti secondo ricetta classica. Una faticaccia immane, ma tanta soddisfazione.
Ora li preparo in maniera più soft, ovvero senza stressarmi con il ripieno se non ho il lombo di maiale: in genere utilizzo avanzi di arrosto.
Non metto la noce moscata, che al Doc non piace. Trito anche altri salumi, se ne sono rimasti dal pranzo di Natale: il prosciutto cotto ci sta benissimo, ma anche la pancetta ha il suo perché.

E poi, li faccio grandi, che il tempo stringe e la fame incombe.
E quindi oggi, che è la giornata nazionale del tortellino sul Calendario del Cibo Italiano, non vi do nessuna ricetta, ma vi offro un piatto di tortelloni, per non prendersi troppo sul serio.